A dare la notizia della drammatica scomparsa di Rita Calore, l’avvocato Anselmo, che ha scritto un commovente post sulla sua pagina Facebook.
Rita Calore era malata da tempo. Lascia la figlia Ilaria e il marito, Giovanni Cucchi.
È morta questa mattina Rita Calore, la mamma di Stefano Cucchi e di Ilaria, che tanto ha combattuto perché il fratello ottenesse giustizia.
A dare la notizia della drammatica scomparsa di Rita Calore, l’avvocato Anselmo, che ha scritto un commovente post sulla sua pagina Facebook.
«Non ce l’ha fatta. Questa mattina Rita Calore si è arresa per andare a riabbracciare Stefano. Il figlio mai perduto. Lo scrivo con tanta emozione e mi stringo a Giovanni ed Ilaria. Non mi viene altro da dire a questa grande famiglia»
ha scritto il legale sulla sua pagina Facebook.
Rita Calore lottava da tempo contro un brutto male. Insieme al marito Giovanni e alla figlia Ilaria ha lottato strenuamente, perché il figlio ottenesse giustizia.
Era il 15 ottobre del 2009 quando Stefano Cucchi, geometra romano, venne fermato da 5 agenti di polizia all’ingresso del parco degli Acquedotti a Roma. I poliziotti lo avevano visto passare delle confezioni a un’altra persona – identificata poi in Emanuele Mancini -in cambio di alcune banconote.
Quando gli agenti lo fermarono, Stefano Cucchi venne trovato in possesso di poco più di 20 grammi di hashish, tre confezioni contenenti una dose singola di cocaina e un medicinale per l’epilessia, da cui era affetto. Sette giorni dopo, il giovane geometra romano sarebbe morto all’ospedale Sandro Pertini della capitale.
I primi a finire sotto processo per la sua morte furono 3 agenti di polizia, insieme a tre medici del reparto di Medicina Protetta del nosocomio capitolino, dove Stefano morì.
Nel dicembre del 2014 il processo si chiuse con l’assoluzione dei 3 agenti e di uno dei 3 sanitari che visitarono Stefano Cucchi in ospedale. Nel 2015 partì un secondo processo, per volontà dei familiari.
Nel gennaio 2017 per i Carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco venne chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità.
L’8 aprile del 2019 fu il militare Francesco Tedesco a rivelare i nomi dei presunti autori materiali del pestaggio che costò la vita a Stefano: i colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
Il 7 maggio dello scorso anno i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma hanno condannato a 13 anni di carcere Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Entrambi sono accusati di omicidio preterintenzionale. La Corte di Cassazione di Roma ha poi ridotto la pena a 12 anni di carcere.
Anche per il carabiniere Roberto Mandolini è stato deciso un lieve sconto di pena, che è passata da 4 anni e mezzo a 4 anni.
Il 21 luglio scorso – a poche ore dalla prescrizione – la corte di appello di Roma ha condannato a tre anni e sei mesi il maresciallo Roberto Mandolini e a 2 anni e 4 mesi il carabiniere Francesco Tedesco. Per i due militari l’accusa è di falso.
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