È morto a 103 anni Ben Ferencz, ultimo pm che prese parte al processo di Norimberga. Si trovava in una casa di cura in Florida.
Forse le ultime generazioni non conosceranno il suo nome e non sapranno molto delle dinamiche che portarono al famoso processo di Norimberga. In realtà il nome di Ferencz, morto venerdì scorso, identifica un uomo chiave di quel periodo buio della nostra storia e molti hanno rivolto un pensiero che inevitabilmente cita anche l’Olocausto, a cui era legata l’attività del giurista ungherese naturalizzato statunitense.
È morto Ben Ferencz
Ben Ferencz era un giurista ungherese che salì alla ribalta per un fatto in particolare, infatti fu accusatore capo del processo agli Einsatzgruppen, uno dei 12 processi secondati di Norimberga che si tennero alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Successivamente fu fra i promotori della Corte penale internazionale.
Aveva 103 anni e da tempo era in cura presso una struttura a Boynton Beach, dove si è spento venerdì scorso. Nella sua vita si è trovato a ricoprire ruoli molto scomodi che però il suo senso del dovere e di giustizia gli imponevano di interpretare. Si tratta dell’ultimo procuratore vivente che prese parte al processo di Norimberga contro i nazisti, che furono accusati di genocidio, inoltre fu fra i primi a testimoniare le atrocità dei campi di concentramento del conflitto.
Il Museo americano a Washington ha ricordato l’uomo come un grande leader nella ricerca della giustizia per le vittime degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, in cui i nazisti instaurarono un clima di terrore che sfociò nella piaga dei campi di sterminio. Quel periodo, ovvero l’Olocausto, viene ancora oggi commemorato ogni anno durante la Giornata della Memoria perché ricordare è importante al fine di non commettere mai più gli errori del passato.
I nazisti furono persecutori degli ebrei, degli omosessuali e di chiunque credesse in una politica diversa dalla linea del loro regime, che a capo aveva il terribile Adolf Hitler che addirittura credeva che per dare l’esempio, ogni rivolta dei civili che provocava la morte di un soldato, doveva essere punito con l’esecuzione di 30 persone ogni soldato deceduto.
Un clima di paura e oppressione che ebbe tanti testimoni, come Benjamin Berell Ferencz, classe 1920, che negli anni dei processi al termine della guerra era un giovane, poco più che ventenne, assetato di giustizia.
Questa non si è mai spenta in lui, che pochi anni fa ricevette un premio per il suo impegno contro i crimini di guerra e l’anno scorso si pronunciò parlando di Putin in merito all’invasione russa in Ucraina, affermando che il presidente dovrebbe essere dietro alle sbarre per ciò che stava facendo.
Chi era Ben Ferencz
Già da piccolo Benjamin Berell Ferencz aveva vissuto gli orrori della guerra, infatti emigrò con la sua famiglia dalla Transilvania dove era nato, negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione degli ebrei ungheresi da parte del regime rumeno dopo la cessazione della regione alla Romania.
Nel 1945 ebbe l’onore di lavorare con il grande generale Patton e fu assegnato a un gruppo che si occupava della persecuzione dei crimini di guerra che i tedeschi effettuavano sui prigionieri. In questa circostanza si trovò inviato ai campi di concentramento appena gli alleati furono liberati. In diverse interviste testimoniò la durezza di quei giorni e i metodi che usava per ottenere le testimonianze.
Congedato con il grado di sergente poco prima del 1946, divenne procuratore dell’accusa ai processi secondari di Norimberga, un ruolo molto importante come d’altronde lo erano le vicende di Norimberga, fondamentali per assicurare i nazisti alla giustizia che forse non meritavano viste le loro condotte.
Con il nome di processo di Norimberga si indicano due gruppi distinti di processi, il primo e più famoso si tenne nel Palazzo di Giustizia a Norimberga fra il 20 novembre del 1945 e il 1 ottobre dell’anno seguente. Si tenga conto che la città della Baviera era una di quelle che maggiormente simboleggiavano il regime hiltleriano. Vennero giudicati venti capi nazisti, mentre nel secondo gruppo gli imputati erano criminali di grado inferiore.
Chiaramente fu possibile processare solo coloro che erano ancora in vita ma fu un passo importante della storia e ancora oggi è il simbolo della lotta all’odio razziale e in particolar modo alle atrocità dei campi di concentramento.
Ferencz era vedovo della donna che aveva sposato nel 1946 e dalla quale ebbe 4 figli. Uno di loro, Donald, è proprio quello che venerdì ha dato la notizia della morte, ricordando affettuosamente il genitore con poche parole rotte dalla tristezza:
“Se mio padre avesse potuto rilasciare un’ultima dichiarazione, avrebbe detto ‘il diritto e non la guerra’”.
Grande testimone dell’Olocausto, era l’altro l’ultimo pm in vita di quei processi dove 22 imputati vennero condannati grazie al suo lavoro. Fra l’altro aveva quantificato in un milione le vittime di quella che definì come la Shoah per arma da fuoco.
Instancabile difensore dei diritti umani, ha scritto 9 libri e tenuto convegni in tutto il mondo, attraverso il quale ha viaggiato fino ai 90 anni diffondendo il suo motto, lo stesso ripetuto dal figlio durante l’annuncio del decesso.
L’età si cominciava a far sentire e con lei gli acciacchi correlati. Durante l’ultima intervista nel novembre scorso ha detto ai media di essere stato fortunato a vivere così tanto e che sperava di aver fatto del bene durante la sua vita.
La risposta unanime di tutti noi è certamente positiva ed è così che vogliamo ricordarlo, come una bella pagina del buono che c’è nell’umanità nonostante tanti orrori.