È morto Sinisa Mihajlovic. L’ex allenatore del Bologna e giocatore di Sampdoria, Lazio e Inter aveva 53 anni e da tempo combatteva con una leucemia mieloide acuta.
Negli ultimi giorni si era parlato di un aggravamento delle sue condizioni di salute, che non erano state confermata dalla famiglia del serbo, ma già dal giorno dopo che è stato ricoverato, ovvero domenica, per un’infezione, Mihajlovic si trovava in coma farmacologico. Su Twitter, è già virale il messaggio all’ex centrocampista: “Ciao Sinisa“. A ricordarlo anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e la presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni.
Non ce l’ha fatta, Sinisa Mihajlovic. La seconda battaglia contro la leucemia, che era tornata in primavera dopo il trapianto di midollo osseo, l’ha vinta la malattia. A 53 anni, il serbo, uno dei centrocampisti più forti che abbiamo visto calcare i campi di calcio della nostra Serie A nei primi anni 2000 è morto a 53 anni.
Ad annunciarlo all’Ansa, è stata la famiglia dell’ex allenatore del Bologna, la sua ultima esperienza nel mondo del pallone: “La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato“, si legge nella nota.
Era stato ricoverato domenica 11, appena cinque giorni, perché le sue condizioni erano peggiorate a causa di un’infezione aggravata da un sistema immunitario che ormai non rispondeva più. Lunedì, nel tardo pomeriggio, era entrato in coma farmacologico.
Il suo sinistro era una rarità, i suoi calci piazzati una leggenda che chi ha avuto la fortuna di vedere dal vivo ancora ricorda. Una magia che secondo alcuni era divina, secondo altri figlia di un talento cristallino, di quelli che si possono allenare fino a un certo punto. Ne ha puniti tanti Sinisa, e anche da allenatore si divertiva a provare i calci di punizione con i suoi giocatori, per poi ridere insieme quando a vincere era sempre lui. “Se la tira Sinisa, se la tira Sinisa è gol“, gli cantava la Curva Nord della Lazio, da giocatore e quando tornava a Roma per affrontare i biancocelesti. Gli stessi colori che gli sono sempre rimasti nel cuore, anche quando giocava nell’Inter, o quando sedeva sulla panchina del Milan.
La storia di Mihajlovic, la sua vita, è iniziata il 20 febbraio del 1969 a Vukovar in Croazia, all’epoca facente parte della Jugoslavia di Tito. Lui, però, si è sempre sentito serbo nell’anima, come il papà. La sua carriera prende il decollo nel 1990, quando la Stella Rossa, la società storica di Belgrado, lo acquista dal Vojvodina.
Alla fine di quella stagione, alza al cielo la Coppa Campioni, l’allora Champions League, l’unica che è riuscito a vincere nella sua carriera, e dopo un anno arriva in Italia. Alla Roma. Con i giallorossi segna sette gol in 69 partite, ma non sono quei colori che gli rubano il cuore, dicevamo. Nel 1994, passa alla Sampdoria, dove incontra per la prima volta Roberto Mancini, uno dei suoi più cari amici, che poi ritrova anche alla Lazio, quella sì la squadra a cui il serbo ha dato di più.
Nel 2000 vince lo scudetto, il secondo della storia biancoceleste, e prima, assieme ad Alessandro Nesta, riesce a portare la società di Sergio Cragnotti a conquistare anche l’ultima edizione (di sempre) della Coppa delle coppe. Il suo marchio di fabbrica sono le punizioni, e in una partita contro la sua ex squadra ne segna addirittura tre. Nel 2004, con la Lazio che non naviga in buone acque, passa all’Inter e rimane là fino a quando non si ritira dal calcio giocato, nel 2006. Con la maglia nerazzurra, Mihajlovic detiene il record di giocatore più anziano ad aver mai segnato un gol in campionato. E anche qui regala diverse magie, pur non essendo sempre titolare e protagonista, rigorosamente su calcio piazzato e punendo anche la Roma in un 2-0 che nessun tifoso interista può dimenticare.
Nonostante l’amore viscerale per l’Italia, però, Sinisa non ha mai abbandonato la sua Serbia, con cui gioca sia ai Mondiali in Francia del 1998, sia agli Europei di due anni dopo. Ci torna anche nel 2012, ma come commissario tecnico: dal 2008, infatti, l’ex centrocampista si mette in proprio e dopo due stagioni come secondo di Mancini, inizia la sua prima esperienza alla guida di una squadra: è il Bologna, la stessa società con cui chiude il cerchio.
Poi ci saranno anche il Catania, la Fiorentina, di nuovo la Samp, il Milan, il Torino e lo Sporting Lisbona. A casa, a Roma, dalla sua famiglia, quella vera e i tifosi, potrebbe tornarci dopo che un altro suo compagno ai tempi dello scudetto, Simone Inzaghi, decide di provare una nuova esperienza a Milano, ma non è il suo tempo, e purtroppo non lo sarà mai. Ci sarebbe stato bene Mihajlovic di nuovo all’ombra del Colosseo e sul versante biancoceleste della capitale. Il serbo, infatti, un po’ come all’Inter e al Bologna, ha rispecchiato i valori e l’amore che i tifosi pretendono da quelle parti. Innanzitutto, l’attaccamento alla maglia e poi ancora il rispetto dell’orgoglio e dell’onore. Per ultimo, ma non per importanza, l’immensa grinta che l’ha sempre accompagnato in tutto il corso della sua carriera. L’ex difensore e allenatore non ha mai nascosto uno stile diretto che ha la corazza di uomo duro a tutti i costi, ma cela un cuore caldo, sanguigno che è stato frutto della sua nazione di nascita, un po’ esperienza del suo percorso in Italia. E comunque il ritorno alla Lazio dalla porta principale non si concretizzerà mai. Un peccato.
Perché la battaglia con la leucemia che vince in un primo momento grazie al trapianto di midollo osseo e l’affetto e la vicinanza di una città come Bologna, “capace d’amore, capace di morte“, come canta Francesco Guccini, lo uccide la seconda. In un letto d’ospedale, in Paideia, è morto, dopo che lui stesso è tornato a fare progetti, a immaginarsi seduto su una panchina, a costruirsi un futuro in cui lui sarà solo un ricordo, uno dei più belli, perché se la tira Sinisa, è gol.
E di saluti, di ricordi del guerriero Mihajlovic si sono riempiti anche i social. Società di calcio, ovviamente, membri delle istituzioni, semplici tifosi o persone che, in una maniera nell’altra, hanno sentito parlare di lui hanno voluto esprimere vicinanza alla sua famiglia.
Il Bologna, la Lazio, ma anche il Napoli, il Milan (che scenderà in campo con il lutto al braccio già nell’amichevole contro il Liverpool).
Ma anche Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Enrico Letta, Matteo Renzi. La politica si è stretta in un lutto che non ha colore, non è destra e non è sinistra. Semplicemente, è il dolore della perdita che ha significato tanto e tante cose diverse per tutti. A prescindere anche dal ruolo istituzionale.
Giornalisti, tifosi, ex compagni di squadra, giocatori che lui ha lanciato nel mondo del calcio, tifosi vip.
Un pensiero per il serbo lo ha avuto anche la Figc, la Federazione calcistica italiana, con Gabriele Gravina, ma soprattutto con Mancini, l’attuale tecnico della Nazionale: “Questo è un giorno che non avrei mai voluto vivere, perché ho perso un amico con cui ho condiviso quasi 30 anni della mia vita, in campo e fuori – le parole del ct azzurro sul sito della Figc- Non è giusto che una malattia così atroce abbia portato via un ragazzo di 53 anni, che ha lottato fino all’ultimo istante come un leone, come era abituato a fare in campo. Ed è proprio così che Sinisa resterà per sempre al mio fianco, anche se non c’è più, come ha fatto a Genova, a Roma e a Milano e successivamente anche quando ha preso strade diverse“.
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