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Salute

È stato approvato un farmaco capace di ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1

Esiste un farmaco capace di bloccare l’insorgere del diabete 1 e la Food and Drug Administration lo ha di recente approvato negli USA. Cosa accadrà invece in Europa?

Diabete – Nanopress

Il diabete di tipo 1 colpisce soprattutto bambini e adolescenti ma, a oggi, non esiste nulla che possa né prevenirlo né ritardarne l’insorgenza. Ecco perché finalmente è stato introdotto un farmaco che possa quantomeno fare sì che questa malattia si sviluppi il più tardi possibile.

Esiste un modo per bloccare l’insorgere del diabete 1?

Esiste un farmaco capace di bloccare il diabete 1? A quanto pare sì. Si chiama teplizumab, è un anticorpo monoclonale e si somministra per via endovenosa. Il suo scopo non è quello di curare la malattia nel senso stretto del termine, ma di ritardarne l’insorgenza. Anziché curare il sintomo insomma, impedisce che la patologia si sviluppi direttamente, agendo a monte.

Generalmente, il diabete di tipo 1 si manifesta nei bambini e negli adolescenti e rientra nelle malattie autoimmuni, dal momento che è generata dalla produzione di anticorpi che attaccano le cellule beta, quelle cioè presenti nel pancreas deputate a produrre insulina, che a sua volta ha il compito di regolare l’utilizzo del glucosio da parte delle cellule. Questa, in pratica, si riduce notevolmente fino al punto di azzerarsi completamente e la conseguenza diretta è in genere un eccesso di glucosio, conosciuto come iperglicemia.

La mancanza di insulina fa sì che l’organismo non posso più utilizzare gli zuccheri introdotti attraverso i cibi ingeriti e quindi deve cercare l’energia in altri modi. Come lo fa? Attraverso il metabolismo dei grassi, ad esempio, che genera la produzione dei corpi chetonici. Così facendo però questi si accumulano e possono portare a conseguenze anche molto pericolose.

Diabete – Nanopress

Ecco che quindi la Food and Drug Administration ha approvato negli USA il teplizumab, che potrebbe agire sulla popolazione che presenta fattori di rischio e che quindi potrebbe sviluppare questa malattia presto.

Cosa sappiamo del farmaco oggi

Cosa sappiamo a oggi di teplizumab? Innanzitutto, questo dovrebbe essere somministrato una volta al giorno per circa 15 giorni di fila. Come ha affermato John Sharretts, membro del Center for Drug Evaluation della Fda: “Il potenziale del farmaco di ritardare la diagnosi clinica del diabete di tipo 1 può fornire ai pazienti mesi o anni senza il peso della malattia”.
Questo infatti potrebbe essere solo il primo introdotto di una lunga serie di farmaci il cui potere dovrebbe essere quello di sapersi legare a cellule specifiche del sistema immunitario, così da poter ritardare l’avvento della malattia.
Teplizumab, nello specifico, è un anticorpo monoclonale anti-CD3, cioè modifica i linfociti T CD8+, che hanno il compito di distruggere virus, batteri o altri antigeni estranei all’organismo, ma che nel caso di pazienti affetti da diabete di tipo 1 non riescono ad attivare nel sistema immunitario una risposta contro la malattia, ma anzi distruggono le succitate cellule b, ovviamente sbagliando. Il farmaco in pratica riuscirebbe a modificare questa loro “azione”, facendo sì che queste cellule possano restare intatte.
La Fda per approvare il farmaco si è basata sui dati emersi da un recente studio randomizzato. Un team di scienziati in pratica ha preso in esame 76 pazienti con diabete di tipo 1 in stadio preclinico e li ha monitorati per ben 51 mesi. In questo lungo lasso di tempo, è emerso che, su 44 pazienti che hanno ricevuto il medicinale, il 45% ha sviluppato la patologia con molto ritardo (fermo restando che anche questo farmaco può dare vita a effetti collaterali indesiderati, seppure molto rari).
Come ha affermato Emanuele Bosi, primario dell’Unità di Medicina generale indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico all’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, fino ad oggi non esisteva alcun trattamento capace di ritardare significativamente lo sviluppo del diabete di tipo 1. Il fine degli studiosi è però adesso riuscire a prevenire direttamente la malattia e non ritardarla solo, ma nel frattempo la cosa più importante è capire come individuare i soggetti che potrebbero beneficiare del farmaco. Quello che già appare certo però è che di questi la maggior parte saranno comunque bambini e adolescenti, essendo loro quelli maggiormente colpiti dalla malattia.
Lorenzo Piemonti, direttore del Dri di Milano, ha aggiunto a questo proposito: “Le conseguenze di questa approvazione sono molto più ampie di quanto non si possa immaginare e non riguardano solo gli aspetti strettamente clinici. Si discuterà molto sul rapporto rischio beneficio nella pratica clinica, si dovrà cambiare l’attuale disegno standard degli studi di prevenzione con qualche difficoltà per gli approcci che prevedono strategie in cui l’azione del farmaco potrebbe risultare antagonista, ma soprattutto spingerà ad identificare precocemente la malattia, prima dell’esordio clinico”.
Il problema principale in questa fase, però resta il rapporto beneficio-costo. Questo per una ragione molto complessa: in Europa l’introduzione in commercio necessita dell’approvazione dell’Ema – l’Agenzia Europea per i medicinali – che ad oggi non è ancora arrivata però. Possiamo quindi basarci solo sul costo che attualmente è stato scelto negli USA, che si aggira sui 193.900 dollari per paziente, come ha specificato Piemonti, che è di gran lunga superiore rispetto a quanto le assicurazioni si sarebbero aspettate di pagare, alla luce del fatto che un paio di anni fa si stimava una soglia di circa 48.900 dollari, da tenere in considerazione perché al di sotto di questa il farmaco sarebbe risultato più “efficace” per il sistema sanitario. La cifra stabilita quindi sarebbe giustificabile solo se la sua efficacia fosse particolarmente elevata.
A questo problema comunque potrebbe aggiungersene un altro, ma qui l’uso del condizionale è d’obbligo dal momento che in questo caso nulla è ancora certo: come ha affermato sempre lo stesso Piemonti, potrebbe rendersi utile “aggiungere ulteriori caratterizzazioni come ad esempio alcuni assetti genetici”.
Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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