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Elezioni Gran Bretagna 2017, May vince ma senza maggioranza: ‘Al governo per la Brexit’


Theresa May
perde la scommessa e, pur vincendo le elezioni generali in Gran Bretagna del dopo Brexit, non ha più la maggioranza in Parlamento, mentre Jeremy Corbyn festeggia e chiede le sue dimissioni. Tutto questo non ha fermato la premier uscente: Theresa May è stata ricevuta dalla Regina e ha confermato la formazione di un nuovo governo, probabilmente con l’appoggio degli unionisti nordirlandesi del DUP, come poi confermato dalla leader Arlene Foster. I numeri confermano però una situazione di “hung Parliament“, cioè parlamento sospeso: nessun partito ha la maggioranza e sono quindi necessarie alleanze per governare.

La scelta di May è caduta sugli unionisti del Nord Irlanda che hanno aperto alle trattative. “Farò un nuovo governo, per rispettare la promessa della Brexit. L’esecutivo che formerò lavorerà per mantenere il Paese sicuro e protetto, dando alla polizia e alle autorità i poteri di farlo“, ha dichiarato la premier uscente dopo l’incontro con la Regina. Obiettivo principale è dunque portare avanti il piano dell’hard Brexit, anche alleandosi con gli ultra conversatori del Democratic Unionist Party, anti abortisti, creazionisti, dalle politiche fortemente omofobe e unionisti.

I contatti sono già stati avviati tanto che May, parlando davanti al n°10 di Downing Street li ha definiti “gli amici” del Dup. “Continueremo a lavorare con loro. I nostri due partiti godono da molti anni di una forte relazione e questo mi dà la fiducia che saremo in grado di lavorare insieme nell’interesse dell’intero Regno Unito“, chiudendo il suo intervento con un drastico “let’s work“, mettiamoci al lavoro.

Elezioni Gran Bretagna 2017, i risultati

Lo spoglio dei seggi è ormai concluso: i tories si confermano il primo partito del paese col 42% e 318 seggi, 12 in meno delle ultime elezioni ma sopratutto sotto la soglia per la maggioranza di 326 seggi (650 i seggi in totale da assegnare). Ottimo risultato invece è stato ottenuto dai laburisti di Jeremy Corby che conquistano il 40% con 261 seggi, +31 rispetto alle ultime consultazioni: Corbyn raggiunge il miglior risultato per i labour dai tempi di Tony Blair nel 2001 (40,7%).

Se infatti gli indipendentisti scozzesi dell’SNP di Nicola Sturgeon perdono 19 seggi, conquistandone 35, i LibDem di Tim Farron crescono e conquistano 3 seggi in più per un totale di 12. Crolla invece l’Ukip dell’ex Nigel Farage che non conquista neanche un seggio ed è fuori da Westminster, pagando il voto sulla Brexit: l’attuale leader Paul Nuttall ha rassegnato le dimissioni.

In lieve crescita (+2) anche gli unionisti irlandesi del DUP che conquistano 10 seggi e che potrebbero essere i nuovi alleati dei tories in un governo di coalizione. Prime preoccupazioni nel paese con la sterlina in netto calo.

A ridosso del doppio attentato che ha colpito il paese, a Manchester e Londra, il paese ha votato per il rinnovo della Camera dei Comuni nel Parlamento di Westminster: 45,9 milioni gli elettori di Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles che si sono registrati, in calo rispetto alle elezioni generali del 2015 quando furono 46,4 milioni i votanti registrati.

Per la terza volta in due anni gli inglesi hanno votato dopo l’annuncio a sorpresa della premier tory Theresa May che ha indetto elezioni anticipate dopo il referendum sulla Brexit dello scorso giugno, quando la maggioranza dei britannici scelse l’uscita dall’UE.

Le elezioni dell’8 giugno sono state volute da May in vista dei trattati sulla Brexit: dopo aver negato più e più volte la necessità di tornare alle urne, la premier ha ceduto sul voto anticipato per avere una maggioranza solida che le permettesse di negoziare una “hard Brexit“, ossia un’uscita netta dall’Unione Europea ed è su di lei che ora pesa la sconfitta.

Da più parti si invocano le sue dimissioni che però non sembrano arrivare. Parlando al paese, pur con un filo di voce, la premier uscente ha dichiarato di lavorare per “garantire stabilità al Paese“: secondo la Bbc May non sarebbe disposta a lasciare e anzi vorrebbe lavorare a un governo di larghe intese.

Il problema è ora con chi fare alleanze, visto che l’Ukip non è neanche entrato in Parlamento, i labour e i libdem non ne hanno intenzione e gli indipendentisti scozzesi di Sturgeon devono leccarsi le ferite e pensare a cosa fare del tanto sbandierato referendum sull’indipendenza da Londra: rimangono solo gli unionisti irlandesi a cui May starebbe guardando per avere una maggioranza in Parlamento.

La delusione della premier scozzese dopo il crollo alle elezioni generali

I colpi più duri sono arrivati dal lato dei conservatori. L’ex cancelliere dello scacchiere, il conservatore George Osborne, ha dichiarato a Itv news che “la ‘hard Brexit’ è finita nel cestino della spazzatura. Theresa May sarà probabilmente uno dei primi ministri con il mandato più breve della nostra storia“.

Non meno duro è stato Jeremy Corbyn, ora accreditato come possibile premier di un governo labour-libdem. “Abbiamo cambiato la politica, in meglio. Voglio mandare il mio grazie a tutti coloro che hanno votato per il nostro programma e per la sua radicale visione di una Gran Bretagna più giusta“, ha scritto il leader laburista in un messaggio post voto. Intervenendo dal vivo a spoglio in corso ha poi avanzato la richiesta di dimissioni. “Basta austerity. Spazio a un governo che rappresenta tutti. Theresa May ha perso sostegno, ha perso seggi e ha perso voti, io credo sia abbastanza perché se ne vada“.

Il peso del terrorismo sulle elezioni

Il doppio attacco terroristico ha spostato il baricentro della battaglia politica e la sicurezza nazionale è balzata in primo piano, soprattutto dopo l’attentato al London Bridge: sapere che almeno uno degli attentatori, l’italo-marocchino Youssef Zaghba, era segnalato come soggetto pericoloso, ma riuscì ad entrare senza problemi nel paese, è stata la scintilla che ha fatto divampare il fuoco delle polemiche.

Il leader laburista Corbyn non ha perso tempo e ha attaccato la sua avversaria, che della sicurezza ha fatto il tema portante della campagna elettorale, ricordando che è stata lei, da ministro degli Interni del precedente governo di David Cameron, a tagliare 20mila poliziotti.

Il pugno duro promesso da May col suo “Enough is enough” e la stretta sui controlli anche a discapito dei diritti umani, come lei stessa ha annunciato a ridosso del voto, non è bastato a spostare l’ago della bilancia ancora a suo favore. Colpa anche di una campagna definita da molti media britannici “fredda e scialba” in un momento di grande tensione emotiva.

Lorena Cacace

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