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Sono trascorsi tanti anni da quei tragici fatti ma il caso di Emanuela Orlandi, la 15enne scomparsa a Roma nel lontano 1983, continua ad essere vivo nella memoria degli italiani, con il suo fardello di indagini, depistaggi, ipotesi, congetture e archiviazioni. Sono tanti gli intrecci particolari che compongono l’oscura trama di uno dei casi di scomparsa più misteriosi della storia italiana, che è rimasto clamorosamente ancora irrisolto. Come tanti sono ancora i punti oscuri che le indagini finora condotte non hanno contribuito a svelare, mentre la Cassazione nel maggio 2016 ha archiviato definitivamente l’inchiesta. La storia della ragazzina romana ha ispirato il film di Roberto Faenza dal titolo ‘La verità sta in cielo‘, nel cui cast appare anche Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che interpreta se stesso, e che ancora sta cercando giustizia e verità per la sua famiglia.
(Sit In di protesta davanti al tribunale di Roma per l’archiviazione)
”La verità sta in cielo”, questo è quello che disse alla famiglia della ragazza Papa Francesco, secondo quanto raccontato dal fratello Pietro, durante un breve incontro avvenuto nel 2013. E da qui che è partito il regista Faenza per il titolo di un film complesso scritto con Pier Giuseppe Murgia e Raffaella Notariale, che non poteva essere altrimenti, dato che racconta una vicenda complessa e ancora ingarbugliata, dove la protagonista non si è più trovata, scomparsa nel nulla senza traccia. Pietro racconta l’incontro con Bergoglio: ”Era Papa da non più di 10 giorni e io ero andato a seguire la Messa nella Chiesa di Sant’Anna, proprio per incontrarlo. Quando mi vide mi salutò e mi disse quella frase, ma allora l’inchiesta era ancora aperta e non c’era nessuna prova né della vita né della morte di mia sorella”, “Avevo sperato che si aprisse la possibilità di una collaborazione, ma – conclude Pietro – da quel giorno, si è alzato un muro, più alto di quello di prima”.
(Nella foto, da sinistra il regista Roberto Faenza e Pietro Orlandi)
LA STORIA DI EMANUELA ORLANDI
La vicenda di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di 15 anni, figlia di un commesso della Prefettura della Casa pontificia, diventa pubblica il 22 giugno 1983 quando sparisce nel centro di Roma dopo una lezione di musica. Di lei non si sa più niente. “Il film – racconta Pietro Orlandi – mette in evidenza indizi che non sono mai stati approfonditi e conferma l’esistenza di un dossier, custodito in Vaticano, il cui contenuto non è ancora noto. E’ chiaro che lì, all’interno dello Stato più piccolo del mondo, c’è la verità sull’accaduto”. Una verità a cui ancora non si è giunti.
Negli anni il caso Orlandi è diventato un vero e proprio rebus, si sono seguite decine di piste e i soggetti coinvolti sono cambiati di volta in volta: il Vaticano, lo Stato Italiano, l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti, fino ad arrivare al terrorista turco Alì Agca, che il 13 maggio 1981 tentò di uccidere Giovanni Paolo II.
Chi ha rapito Emanuela Orlandi? Secondo quanto ricostruito nel film, uomini della criminalità romana avrebbero preso la ragazza per poi consegnarla a esponenti della Chiesa.
Quale è stato il movente del rapimento di Emanuela Orlandi? Dai festini a luci rosse fino al sequestro di persona orchestrato per ottenere la liberazione di Alì Agca, le tesi sono seguite le une alle altre. Padre Gabriele Amorth, il noto esorcista vaticano morto da pochi giorni, sosteneva che Emanuela fosse morta per mano di pedofili.
Del ruolo chiave della banda della Magliana si è parlato per anni, ma la tesi riprese vigore nel 2005, dopo una telefonata alla trasmissione Chi l’ha visto, in cui si parlava della presenza della salma dell’ex capo della banda Renato De Pedis dentro le tombe della basilica romana di Sant’Apollinare, che dista pochi passi dal luogo dove presumibilmente è stata rapita Emanuela. A dare attendibilità a questa pista ci furono anche le dichiarazioni di Sabina Minardi, compagna del De Pedis negli anni ’80.
”Eppure, la tesi più plausibile secondo me è che il vero obiettivo fosse il Vaticano, per l’esattezza il Papa” sostiene l’ex magistrato Ferdinando Imposimato: ”La fazione conservatrice della Curia è sempre stata potente. In quegli anni osteggiava il Papa progressista e ospitava sacerdoti legati ai servizi della Germania Est e bulgari, che hanno favorito il sequestro” denuncia Imposimato, continuando: ”Il sequestro, evidentemente finito male, era un avvertimento dei regimi dell’Est diretto al Papa, grande sostenitore dei processi democratici che pochi anni dopo avrebbero portato al collasso del regime sovietico. Tutto il resto sono stati depistaggi creati ad arte per nascondere la verità”.
(Sit in sotto il Quirinale in ricordo di Emanuela Orlandi)
Il caso Orlandi è stato chiuso su richiesta del procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone e la Cassazione ha convalidato l’archiviazione il 6 maggio scorso, nonostante l’opposizione della famiglia e i dubbi del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, ex-capo dell’inchiesta, che si è rifiutato di firmare il documento di archiviazione.
Ma Pietro Orlandi conserva ancora una speranza: ”Spero che ’La verità sta in cielo’ possa segnare un passo avanti nello sviluppo della vicenda, toccando le coscienze e tenendo alta l’attenzione sui fatti” e su quello che succede e successe in Vaticano. ”E’ indubbio – sostiene invece Faenza – che il povero Wojtyla abbia avuto bisogno di denaro per sconfiggere le dittature dei Paesi socialisti, ma anche che non fosse a conoscenza delle attività di Monsignor Marcinkus, direttore della Banca vaticana dello Ior. Però quel Pontificato ha avuto una certa linea, ben diversa da quella di oggi. Non credo che Bergoglio farebbe mai cose di quel tipo”. Mentre Pietro Orlandi continua a chiedersi se davvero, nelle mura vaticane, ci sia qualcuno che conosce la verità ma si ostina a non parlare.
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