Il caso Orlandi è uno dei cold case che da decenni tiene il Paese con il fiato sospeso. Letteralmente, un caso irrisolto. Realisticamente tanti dubbi e menzogne residuano intorno alla scomparsa della cittadina vaticana.
Con la morte di Papa Ratzinger, però, il vento sta cambiando. E la magistratura vaticana ha deciso di riaprire le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ripercorriamo insieme le principali tappe della vicenda.
È il 22 giugno 1983 quando Emanuela, figlia di Ercole, commesso pontificio e di sua moglie Maria ex crocerossina, non fa rientro a casa dopo essere stata a lezione di musica nel complesso di Sant’Apollinare.
Nell’ultima chiamata a casa, attorno alle ore 19, la giovane riferisce alla sorella Federica di aver ricevuto una chiamata, da persona non meglio identificata, per svolgere attività di volantinaggio per conto dell’azienda cosmetica Avon in occasione di una sfilata delle Sorelle Fontana. Il compenso – inverosimile per una sola giornata di lavoro – è di ben 375 mila lire. L’equivalente odierno di quasi mille euro.
Le prime indagini si concentrano attorno al circuito Avon. Il sospetto è che vi sia un giro di adescamento di ragazze minorenni. Dal terzo giorno dalla scomparsa però a casa Orlandi si presentano due agenti dei servizi segreti Sisde. Il perché della loro visita tutt’oggi è uno dei tanti punti oscuri. A seguito della testimonianza di un vigile urbano e di un poliziotto davanti al Senato, per l’esattezza in via Rinascimento, l’attenzione è catalizzata da una BMW verde tundra, al cui volante vi era un uomo poco più che trentenne che avrebbe avvicinato una ragazzina somigliante ad Emanuela. Ben presto però anche questa pista sarà tralasciata.
In mondovisione, Papa Giovanni Paolo II, durante il suo consueto Angelus domenicale, il 3 luglio 1983, si appella ai responsabili “del caso”. Si parla per la prima volta – e a farlo è un Papa dal suo pulpito – di rapimento.
Papa Woytila è stato forse messo al corrente di un ricatto e ha così voluto dare massima visibilità ed importanza alla vicenda? In anni sulla scena del crimine ho imparato che le coincidenze non esistono. Di fatto, appena due giorni dopo, arriva a Casa Orlandi la prima rivendicazione del rapimento. Entra in scena il cd. Amerikano.
Lo sconosciuto, che ha una leggera inflessione straniera tramite varie telefonate in Vaticano e alla famiglia della scomparsa, mette sul tavolo l’oggetto della trattativa: Emanuela sarà liberata in cambio della scarcerazione di Agca Alì, noto come “Lupo grigio”, il terrorista che il 13 maggio 1981 aveva attentato alla vita del Pontefice. Da questo momento la scomparsa diventa internazionale. Le polizie di mezzo mondo vengono allertate e la Segreteria di Stato, in via del tutto eccezionale, concede una linea riservata tramite il codice 158.
L’estate del 1983 è un susseguirsi di messaggi dell’Amerikano e del Fronte Turkesk. Il 20 luglio arriva l’ultimatum con in gioco l’uccisione dell’ostaggio seguita da angoscianti indizi: un biglietto di Emanuela ai genitori, un’audiocassetta con lei che ripete “Dovrei frequentare il terzo liceo scientifico” e un secondo nastro di presunte sevizie.
Nel frattempo, i rapitori rivendicano anche il sequestro di un’altra ragazza, scomparsa il 7 maggio di quello stesso anno in via Nomentana. É Mirella Gregori, figlia del barista di via Montebello e di una sarta. Esce di casa dicendo di doversi vedere con un amico, ma a casa non vi farà più ritorno.
Le conferme del collegamento tra i due casi ci sono e non tardano ad arrivare. La prima si ha l’8 settembre 1983 quando alla famiglia Gregori arriva una lettera che la perizia grafologica rivelerà essere stata scritta dalla stessa mano di una lettera lasciata pochi giorni prima in un pulmino Rai a Castelgandolfo sul giallo Orlandi.
Non solo. L’identikit di due tipi che pedinarono Emanuela sin sotto casa a giugno corrisponde a quello di soggetti loschi notati dai Gregori fuori dal loro bar il giorno prima che Mirella sparisse nel nulla. A fine settembre l’ultima e decisiva prova: i rapitori della Orlandi, durante una telefonata, danno prova di essere responsabili anche del rapimento di Mirella, elencando la lista degli indumenti indossati da quest’ultima.
I fatti del 1983 si svolgono nel pieno dell’inchiesta sulla pista sovietica, in particolare bulgara, seguita dalla Procura di Roma, per chiarire la genesi e individuare i mandanti dell’attentato a Papa Woytila.
Secondo Ilario Martella, il giudice istruttore che nel 1984 manderà a processo tre funzionari della Balkan Air come complici di Agca, è convinto che la Orlandi e la Gregori siano state prese in ostaggio per illudere il Lupo grigio di poter essere liberato, in cambio della promessa di rimangiarsi le accuse al mondo dell’Est lanciate nel 1982. La ritrattazione in effetti ci sarà. Era il 28 giugno 1983. Solo 6 giorni dopo la scomparsa di Emanuela.
Successivamente sembra aprirsi una nuova pista. Una donna riferisce di aver visto arrivare Emanuela su una A112 targata Roma nell’estate del 1985 davanti ad un maso abitato da un agente segreto, sua moglie e una coppia di amici.
Lecito è stato chiedersi se si trattasse di una tappa del trasferimento dell’ostaggio in Germania dove i “lupi grigi” avevano la base?
Di fatto però questa pista non porterà ad alcunché. I quattro indagati saranno prosciolti. Stessa sorte toccherà anche alla pista rossa dell’attentato. Nel 1986 viene pronunciata sentenza di assoluzione dei bulgari e dei presunti complici turchi.
È il 1993 quando il vicecapo della Gendarmeria, vicino alla casa Gregori, avvistato spesso al bar su via Nomentana frequentato da Mirella e l’amica Sonia, viene indagato per il sequestro. Si segue la pista degli adescamenti dei minori. Ma anche questa pista non poterà a niente. Nel 1997 viene formalizzata l’archiviazione del caso Orlandi. Da quel momento, per circa una decida di anni, cala il sipario.
Nel luglio del 2005 il mistero torna in prima pagina con una telefonata, chiaramente anonima, al programma televisivo Chi l’ha visto? “Se volete risolvere il caso Orlandi andate a vedere chi è seppellito a Sant’Apollinare”. La telefonata pone le basi poi per le rivelazioni fatte da Sabrina Minardi, ex amante di Renatino. “Renatino mi chiese di portare una ragazzina ai piedi del Gianicolo, in fondo alla strada delle mille curve, e consegnarla a un monsignore. Così feci. Solo quando me la trovai in macchina capii che era la Orlandi”.
La testimonianza della Minardi porta alla riapertura dell’inchiesta. Gli indagati sono cinque: la stessa Minardi, tre esponenti della Banda della Magliana (tra cui l’autista del capo Sergio Virtù) e don Pietro Vergari, ex rettore di Sant’Apollinare, che aveva convinto il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti, a concedere a De Pedis una cripta all’interno della basilica. Cosa a dir poco indegna.
Un altro passaggio decisivo si ha nel marzo 2013 quando il fotografo romano Marco Accetti consegna prima ad un giornalista e poi alla Procura un flauto traverso. I familiari, in particolare i fratelli Pietro e Natalina, riconoscono senza esitazioni lo strumento: è quello della sorella Emanuela.
Accetti afferma di aver partecipato al piano criminale, prima come adescatore e poi come telefonista in entrambi i rapimenti. Il piano, riferisce l’Accetti, è stato ordito da tonache vicine al Cardinale Casaroli, interessate a che Agca ritrattasse le accuse mosse all’Est in modo da salvaguardare i rapporti con Mosca. A tale scopo se ne aggiungono altri, tra cui quello di ottenere la restituzione delle somme perdute dalla Santa sede con il crack dell’Ambrosiano, mandare definitivamente “in panchina” lo Ior Marcinkus e influire sulla nomina di alcune alte cariche ecclesiastiche. La voce di Accetti è stata ritenuta compatibile dai consulenti fonici con quella del telefonista che si fece vivo dal settembre 1983 e assomiglia molto anche a quella di Mario e dell’Amerikano.
Ad ulteriore supporto delle sue dichiarazioni, Accetti indica anche le cabine telefoniche dalle quali partirono le chiamate. Non solo, chiarisce un retroscena. Una delle lettere giunte a fine estate da Boston, faceva riferimento ad una persona morta, e mai riconosciuta, a Roma il 5 ottobre 1983 e che lui era in grado di identificare. Si trattava di Paola Diener, figlia del commendatore Joseph, capo dell’Archivio segreto vaticano, folgorata in casa sotto la doccia.
Così il fotografo romano viene indagato dalla Procura di Roma. É il sesto. A sostegno della tesi che lega il ricatto alla malagestio gestio vaticana alcuni hanno posto all’attenzione sull’azienda cosmetica Avon che sarebbe stata utilizzata dai rapinatori per adescare Emanuela. Avon altro non sarebbe che l’anagramma di Nova, fondazione pontificia alla quale al tempo erano affidate molte transazioni.
Alcuni allora si sono chiesti se i rapinatori, con la proposta del finto lavoro, non volessero comunicare in codice alla controparte il movente economico.
Marco Accetti, sottoposto a perizia psichiatrica, viene ritenuto affetto da sindrome narcisista. Nel 2015, il procuratore G. Pignatone avoca a sé le indagini e nel giro di poche settimane chiede ed ottiene dal gip l’archiviazione con il proscioglimento degli indagati. Il caso è di nuovo chiuso. Nel 2016 l’archiviazione viene confermata anche dalla Cassazione. Il 3 ottobre 2019 Pignatone viene nominato da Papa Francesco Presidente del Tribunale Vaticano. È in questa veste che si occuperà degli ultimi sviluppi.
Nel 2018 sono spuntati mucchietti di ossa nella Nunziata in via Po, per alcuni appartenenti alla Orlandi. Poi scartati in un quanto appartenenti ad una persona deceduta prima del 1964. Ancora nel 2019 quando i resti di Emanuela sono stati cercati in due tombe del cimitero Teutonico.
Ma l’epilogo è sempre lo stesso: Emanuela non è sepolta dentro le Sacre Mura.
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