[didascalia fornitore=”Ansa”]Medici e studenti di medicina protestano per la mancanza di medicine e attrezzature sanitarie[/didascalia]
La difficile situazione economica e politica ha portato il Venezuela a dover fare i conti con una popolazione che ha fame e che protesta per la mancanza dei diritti fondamentali di una società civile, come quelli alle cure e al sostentamento. Ong, medici e specialisti chiedono a gran voce la dichiarazione dello stato di crisi umanitaria per permettere l’intervento delle forze internazionali e consentire alla popolazione di ricevere medicine, cibo e acqua. L’emergenza sanitaria è quotidiana, soprattutto analizzando il problema con i medici che hanno lavorato, o lavorano, sul territorio venezuelano.
[didascalia fornitore=”Ansa”]Uno scaffale di medicine quasi vuoto in Venezuela[/didascalia]
C’è chi ha un quadro preciso delle reali condizioni sanitarie, perché in quest’emergenza ci ha lavorato. È il caso di un giovane medico di 25 anni, appena laureato all’Università Centrale del Venezuela, che sta terminando la sua specializzazione a Madrid. Quello che racconta è allarmante: “Non mancano solo medicine specifiche, come potrebbero essere quelle per il cancro e per l’Hiv, ma anche quelle basiche come gli analgesici, gli antibiotici, l’ibuprofene, quelli per il diabete o l’ipertensione”. La Federazione farmaceutica venezuelana (Fefarven) ha denunciato da più di un anno la situazione. Già a marzo del 2016, nella dichiarazione di Caracas dell’assemblea nazionale della Fefarven si leggeva: “la salute è un diritto umano inviolabile, universale, fondamentale, garantito dalla Costituzione Nazionale del 1999, agli articoli 83,84,85” richiamando massima attenzione per garantire la qualità dell’assistenza medica. Il problema è che ad oggi, senza la dichiarazione dell’emergenza umanitaria e l’apertura di un canale esterno di rifornimento, è impossibile, come privati cittadini, spedire medicine. Il divieto d’ingresso di medicinali dovrebbe essere compensato dal Governo ma, come dichiarò proprio il Presidente della Federazione Farmaceutica Venezuelana, Freddy Ceballos: “il paese è arrivato a registrare carenze di medicinali che raggiungono l’85%”.
[didascalia fornitore=”Ansa”]Ospedale in Venezuela[/didascalia]
La situazione negli ospedali non è migliore: “Quella più grave si registra al Pronto Soccorso e nella gestione dei traumi – racconta – dove non ci sono spesso antisettici, analgesici o siringhe, con un elevato rischio d’infezione”. La stessa sostituzione dei macchinari danneggiati non è facile: “Se un’ambulanza, o qualche apparecchio medico al suo interno smette di funzionare, è difficile averne una nuova – continua il giovane medico venezuelano – è capitato di dover aspettare mesi per un nuovo tomografo e che molte urgenze dovessero essere dirottate nell’unico ospedale che ne avesse uno”. Abbiamo raggiunto telefonicamente anche un medico chirurgo specializzato in traumatologia, che opera in uno degli ospedali più grandi di Caracas, e ci ha parlato della difficile gestione di qualsiasi tipo di trauma: “Manca la manutenzione delle attrezzature mediche, da quelle per le radiografie a quelle per l’artroscopia, un esame per le articolazioni che viene fatto tramite uno speciale endoscopio. Non si ha nemmeno il materiale plastico per la stampa delle lastre, di fondamentale importanza per individuare le fratture. Quando si ha bisogno di qualche pezzo di ricambio, venendo tutti dall’estero, impiegano moltissimo tempo ad arrivare. Tutto quello che viene prodotto a livello industriale proviene da fuori, in Venezuela abbiamo solo il petrolio”. La manutenzione non è solo delle attrezzature ma delle stesse strutture ospedaliere: manca l’elettricità e l’acqua. Se si rompe una tubatura i lavori sono ingenti, vista la scarsa manutenzione negli anni, e le risorse scarseggiano. Il problema diventa ingestibile nelle sale operatorie: “È capitato di dover operare con la luce del cellulare per un’improvvisa mancanza di luce elettrica, con il paziente sul tavolo operatorio. Manca infatti spesso un generatore d’emergenza che garantisca l’elettricità per la sicurezza dei pazienti”.
La carenza di medicinali e di attrezzature mediche ha come prima conseguenza quella di non poter curare i malati cronici, come i pazienti sieropositivi o diabetici, ma non permette l’intervento nemmeno nei più semplici casi ambulatoriali, come precisa il giovane medico: “Purtroppo quello che oggi verrebbe trattato con una semplice pillola, se non l’abbiamo a disposizione, si traduce nell’utilizzo di tecniche mediche ormai desuete. Bambini che potrebbero guarire assumendo un semplice antiparassitario devono essere operati; per le fratture s’interviene con dei pezzi di legno e del tessuto di fortuna, come una camicia, per tenerle ferme”. Chi rimane sul campo in Venezuela, come il chirurgo traumatologico, deve affrontare una situazione sempre più grave per i malati cronici: “Ormai nel nostro paese si muore di diabete, un po’ perché mancano i farmaci per curarlo, un po’ perché non abbiamo neanche le risorse o le attrezzature, come la macchina per l’emodialisi, per trattare le complicazioni renali dovute al livello troppo alto di zuccheri nel sangue”.
Questa situazione d’emergenza ha di fatto dato una spinta non indifferente al mercato nero: “dove i farmaci vengono venduti a prezzi molto più alti rispetto a quelli dell’inizio della crisi nel paese; è quindi importante denunciare questa situazione e permettere alle associazioni che cercano d’aiutare sul territorio, come la Caritas, o quelle che potrebbero intervenire, come la Croce Rossa, di portare nel paese cibo e medicine” richiedono i medici a gran voce.
[didascalia fornitore=”Ansa”]Proteste del personale medico [/didascalia]
Il numero sempre minore di medici presente nel Paese non è da sottovalutare. Il Venezuela è entrato in un circolo vizioso che vede anche la medicina privata in difficoltà, prima grande fonte di reddito per qualsiasi medico che lavorasse nel pubblico. Moltissime persone che prima si affidavano alle assicurazioni, adesso non hanno i soldi per pagarle, con il risultato che le stesse compagnie non coprono tutti i tipi d’intervento, soprattutto interventi chirurgici, per i quali il paziente deve comunque affidarsi alla sanità pubblica, già oberata dai problemi che abbiamo elencato. Protesi, innesti di viti nelle ossa e altre prestazioni mediche non possono più essere prese in carico nemmeno dal settore privato, che se prima era in una situazione migliore rispetto a quello pubblico, adesso risente dello stato generale di crisi: “Molti medici hanno deciso d’abbandonare il paese, un po’ per le difficili condizioni in cui si deve lavorare tutti i giorni, un po’ perché con il lavoro nel privato in costante calo è difficile anche mantenersi – ci racconta il chirurgo specializzato – Nel mio team prima potevamo fare anche 3/4 interventi al giorno, adesso quando va bene ne facciamo 2. Con l’inflazione e i problemi economici del Paese, lo stipendio medio di un medico in Venezuela va dai quattrocento ai mille dollari, mentre in Cile, uno dei paesi che sta accogliendo la maggior parte del personale medico venezuelano, si arriva a cinquemila dollari al mese. Il personale che non opera è in una situazione ancora peggiore perché non ha nemmeno le entrate degli interventi chirurgici rimasti”.
Se il paese sta affrontando un’emergenza alimentare, questa si riversa anche negli ospedali che non hanno cibo adeguato per quei pazienti che, per motivi di salute, devono seguire una dieta particolare: “Negli Ospedali Pediatrici a Caracas, non hanno cibo e acqua per i bambini ricoverati – denuncia il medico – c’è un aumento terribile dei casi di malnutrizione che in una fase così delicata della crescita possono avere gravi conseguenze per la salute futura dei piccoli pazienti”.
[didascalia fornitore=”Ansa”]Dottori durante una manifestazione in piazza[/didascalia]
L’acuirsi delle tensioni sociali per la mancanza di farmaci ha portato molte persone affette da patologie croniche a manifestare in piazza: “Può capitare di vedere pazienti chemioterapici, senza capelli ed emaciati, che urlano perché non hanno le medicine per curarsi e stanno morendo” racconta il dottore. Ci sono medici, studenti di medicina e specializzandi che hanno deciso di non lasciare il paese e di prestare soccorso proprio durante le violente manifestazioni che da aprile di quest’anno imperversano nel Paese, soprattutto a Caracas. Si organizzano in varie equipe mediche formate da specialisti e studenti. Il Primeros Auxilios della Universidad Central de Venezuela (UCV), chiamato comunemente Cruz Verde per via della croce verde sul casco bianco che li identifica durante le manifestazioni, è un’organizzazione nata nel 2014 come primo aiuto per i feriti durante le violenze per le strade. Dopo un periodo relativamente tranquillo si sono riformati nei primi mesi del 2017, con il ritorno delle manifestazioni più violente: “Molti degli studenti che avevano partecipato a questo esperimento di primo soccorso si sono laureati ed sono andati fuori dal paese – ci racconta il medico specialista – ci sono state delle nuove selezioni per il personale medico a tutti i livelli, dagli infermieri ai medici specialisti, fino agli studenti di medicina”.
I campi d’intervento e le diverse equipe si dividono in tre zone diverse: la rossa, dove c’è il vero conflitto con le forze dell’ordine e dove vengono identificati e prelevati i feriti per essere portati nella seconda zona, quella arancione, per un primo intervento. Nella terza e ultima zona, quella verde, sono presenti i medici specialisti che fanno una prima diagnosi e decidono se i feriti possono essere rilasciati o se invece è necessario il loro trasporto in ospedale. Intervenire in queste zone di guerriglia ha portato anche a dei conflitti diretti tra i medici che prestano soccorso, anche estemporaneo, e le forze dell’ordine: “I casi più eclatanti sono stati due – spiega il chirurgo – Il primo, ad aprile riguardava un medico del quartiere di Santa Monica, a Caracas, dove ci sono molte cliniche private, e dove si sono riunite molto spesso diverse manifestazioni importanti. Il medico, che si trovava in zona per lavoro, ha aiutato i manifestanti ed è stato arrestato. Il fermo è durato solo poche ore perché oltre all’albo dei medici è intervenuto anche il Foro Penal Venezolano, una Ong senza scopo di lucro formata da avvocati che prestano assistenza legale gratuita. Il secondo è successo invece circa tre settimane fa, in Puerto La Cruz, dove proprio un traumatologo della Cruz Verde è stato arrestato con la scusa che stesse rubando delle attrezzature mediche. Anche lui è stato liberato poco dopo proprio perché sono intervenuti nuovamente il Foro Penal e l’albo dei medici”. Lavorare sul campo oggi in Venezuela vuol dire correre il rischio di finire nel mirino della repressione delle proteste nelle piazze: “È capitato che ci fossero delle aggressioni dirette nei confronti dei medici, colpiti durante le manifestazioni con i piombini”. La vittima numero 45 delle proteste nel Paese è stata proprio un membro della Croce Verde, Paul Moreno, di appena 25 anni, durante i soccorsi in una manifestazione. La Croce verde, ripartita nel 2017, è passata da qualche decina di studenti di medicina, assistiti da medici specialisti, a contare tra le sue fila quasi 200 persone, tra personale medico di tutti i livelli.
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