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Emergenza umanitaria in Venezuela, tra mancanza di beni di prima necessità e diritti umani violati

[didascalia fornitore=”Ansa”]Proteste a Caracas[/didascalia]

Immaginate di andare in un supermercato, cercare gli alimenti base della vostra cucina per fare un piatto qualunque, e non trovarli. Pensate per un attimo di essere costretti a fare la fila una volta a settimana per beni di prima necessità come la farina o la carta igienica, e che ci sia qualcuno che ne decida per voi le quantità. Fate ancora uno sforzo, immaginando di avere un figlio o un genitore malato, di andare all’ospedale e non trovare gli antibiotici o i farmaci per l’ipertensione. Se vi sembra un incubo, sappiate che è quello che vive quotidianamente la popolazione venezuelana. Da mesi. E se vi venisse l’idea di scendere in piazza per protestare la reazione potrebbe essere violenta. Gli ultimi dati del rapporto di Amnesty International sullo stato delle carcerazioni in Venezuela, pubblicato ad aprile, parla di processi sommari, arresti preventivi, tribunali militari che giudicano civili, persone detenute senza accuse ufficiali, o per reati che ne permettono la detenzione preventiva come il tradimento contro la madrepatria, terrorismo, ribellione e furto di beni dell’esercito. La crisi che sta attraversando il paese non riguarda più solo l’economia o la politica, ma soprattutto il popolo venezuelano.

BENI DI PRIMA NECESSITA’ RAZIONATI

[didascalia fornitore=”Ansa”]Coda per i beni di prima necessità[/didascalia]

Se vi trovaste a Caracas, potreste imbattervi in code a volte chilometriche per l’approvvigionamento dei beni di prima necessità: farina, latte, uova, acqua e carta igienica. In Venezuela sono conosciute come “las colas”. Si può aspettare anche ore per il proprio turno, sotto il sole cocente e una temperatura che arriva anche a 40 gradi. Il popolo ha fame, nonostante possieda una delle più grandi riserve di petrolio del mondo. Per garantire la sicurezza di chi è in coda, queste “colas” sono presidiate dall’esercito, perché può capitare di aspettare anche dieci ore e non riuscire a comprare quello che si stava cercando. A raccontarlo è Luis Lugo, ex vice console venezuelano di Milano e diplomatico di lungo corso. È stato a dicembre a Caracas e si dice preoccupato per le sorti del suo paese: “Ho impiegato due ore e mezza per trovare dell’acqua minerale. Tutto senza contare il costo di circa 5/6mila bolìvares (moneta locale, ndr). Se pensiamo allo stipendio medio di un venezuelano che si aggira intorno ai 40mila bolìvares, capiamo il reale potere d’acquisto di un cittadino comune. Inoltre, per riuscire a fare un prelievo al bancomat esistono dei tetti massimi stabiliti. Io sono riuscito a raccogliere tutti i soldi solo dopo averne girati tre, grazie a diverse carte a mia disposizione, ma non tutti hanno questa possibilità”. Se il cibo è poco, a causa dell’altissimo tasso d’inflazione oggi presente nel paese, uno dei più alti del mondo, molte persone non hanno potere d’acquisto. Come spiegato anche in uno studio del FMI (Fondo Monetario Internazionale) , con il calo del prezzo del petrolio al barile, dai 100 dollari del 2014 ai 29 di fine 2015, e la diminuzione nella produzione, la principale risorsa economica del paese non esiste più: il 95% delle esportazioni venezuelane riguardavano proprio l’oro nero. L’import è controllato dal governo quindi il razionamento delle risorse viene fatto internamente. In un paese però che si è sempre basato sulle importazioni per l’approvvigionamento di cibo e servizi, tutto questo è diventato terreno fertile per la crescita di un fiorente mercato nero, che di fatto droga quello sano.

EMERGENZA SANITARIA

[didascalia fornitore=”Ansa”]Feriti soccorsi durante le proteste a Caracas[/didascalia]

Non si tratta solo di cibo ma anche e soprattutto di mancanza di medicine: “Ho una zia affetta da diabete cronico. In Venezuela è impossibile averle nelle giuste dosi e quantità. Ci mettiamo d’accordo tra zii e cugini, tra chi abita più vicino e chi può procurargliele nel minor tempo possibile” prosegue Luis Lugo. In quest’emergenza lavorano medici che hanno deciso di terminare il proprio percorso di studi all’estero dopo aver lavorato in condizioni precarie per mesi, e altri invece che hanno deciso di rimanere. Il primo è il caso di un giovane medico di 25 anni, appena laureato all’Università Centrale del Venezuela, che sta terminando la sua specializzazione a Madrid. Il quadro che ci racconta è allarmante: “Non mancano solo medicine specifiche, come potrebbero essere quelle per il cancro e per l’Hiv, ma anche quelli basici come gli analgesici, gli antibiotici, l’ibuprofene, quelli per il diabete o l’ipertensione”. Le strutture ospedaliere, secondo la testimonianza, non sono in condizioni migliori: “Quella più grave si registra nel pronto Soccorso e nella gestione dei traumi – racconta – dove non ci sono spesso antisettici, analgesici o siringhe, con un elevato rischio d’infezione”. L’emergenza cibo riguarda anche gli ospedali, perfino quelli pediatrici: “Spesso non hanno cibo e acqua per i bambini ricoverati e c’è un aumento dei casi di malnutrizione che in una fase così delicata della crescita possono avere gravi conseguenze per la salute futura dei piccoli pazienti”.

Ci sono poi quelli che fanno parte della seconda categoria, quelli che hanno deciso di restare. Abbiamo raggiunto telefonicamente un medico, specializzato in chirurgia traumatologica, e attivo attualmente sul territorio venezuelano: “Manca la manutenzione delle attrezzature mediche, da quelle per le radiografie a quelle per l’artroscopia, un esame per le articolazioni che viene fatto tramite uno speciale endoscopio. Non si ha nemmeno il materiale plastico per la stampa delle lastre, di fondamentale importanza per individuare le fratture. Quando si ha bisogno di qualche pezzo di ricambio, venendo tutte dall’estero, possono metterci moltissimo tempo o non arrivare. Tutto quello che viene prodotto a livello industriale viene da fuori, in Venezuela abbiamo solo il petrolio”. Le condizioni delle sale operatorie? “È capitato ad alcuni colleghi, di dover operare con la luce del cellulare perché, con il paziente sul tavolo operatorio, si era spenta improvvisamente la luce e spesso mancano i generatori d’emergenza che garantiscano l’elettricità per la sicurezza dei pazienti”.

La carenza di medicinali colpisce in primis i malati cronici: “Ormai nel nostro paese si muore di diabete, un po’ perché mancano i farmaci per curarli, un po’ perché non abbiamo neanche le risorse o le attrezzature, come la macchina per l’emodialisi, per trattare le complicazioni renali dovute al livello troppo alto di zuccheri nel sangue”. Esiste anche un mercato nero dei medicinali: “dove i farmaci vengono venduti a prezzi molto più alti rispetto a quelli dell’inizio della crisi nel paese, è quindi importante denunciare questa situazione e permettere alle associazioni che cercano d’aiutare sul territorio, come la Caritas, o quelle che potrebbero intervenire come la Croce Rossa, di portare nel paese cibo e medicine”. Unicef Italia, in una nota di maggio, tramite le parole del suo portavoce Andrea Iacomini, denunciava: “Nonostante gli sforzi del Governo e delle altre parti interessate i dati mostrano che nel 2016, rispetto al 2015, sono morti il 30% in più di bambini prima del loro primo compleanno […] Più di 240.000 persone sono state colpite dalla malaria nel 2016, con un aumento del 76% rispetto al 2015 e sono aumentati anche i casi di diarrea, pertosse, polmonite,Hiv e morbillo tutti potenzialmente mortali per i bambini”.

[npleggi id=”176835″ testo=”Leggi le interviste complete ai medici sul campo in Venezuela”]

ARRESTI PREVENTIVI E GIUDIZI NEI TRIBUNALI MILITARI TRA I MANCATI DIRITTI UMANI

[didascalia fornitore=”Ansa”]Feriti durante le proteste a Caracas[/didascalia]

La mancanza di beni di prima necessità ha portato la gente in piazza non solo per un cambiamento politico e la richiesta di nuove elezioni ma per una svolta reale e tangibile della loro quotidianità. Le reazioni, anche violente, sono state represse molto spesso allo stesso modo. Sotto la lente delle associazioni che si occupano di diritti umani, come Amnesty International, sono finite alcune pratiche quali gli arresti preventivi, processi sommari, portati avanti anche dai tribunali militari, che di fatto giudicano i civili. Nel rapporto ufficiale redatto proprio da Amnesty, viene evidenziata la situazione di persone detenute senza accuse ufficiali, o con reati che ne permettono la detenzione preventiva come “tradimento contro la madrepatria”, terrorismo, ribellione, furto di beni dell’esercito”: “In parte sembra di rivivere la crisi del ’14 con grandi manifestazioni di massa, non sempre pacifiche, e violenza diffusa nelle strade con un uso eccessivo della forza da parte delle
forse di sicurezza, arresti arbitrari, e recentemente con l’affiancamento di milizie filogovernative
– spiega il portavoce di Amnesty Internationa Italia, Riccardo Nouryla narrazione della situazione in Venezuela è estremamente politicizzata, a volte anche bipolare. Abbiamo il più delle volte una rappresentazione dei fatti che non solo è diversa ma opposta, da qui la necessità di depoliticizzare la discussione dei fatti nel paese, per evitare di fare un cattivo servizio nei confronti dei diritti umani”.

Sempre nel rapporto di Amnesty si parla di cattiva gestione dei processi, con arresti sommari, senza prove reali, come nel caso dei due ragazzi, Raul Baduel e Tirado, arrestati durante una manifestazione, che hanno denunciato di aver subito torture: “Le condizioni carcerarie dei detenuti sono pessime, come per altro la maggior parte delle strutture in quella regione. Ci sono arrivate – continua il portavoce – denunce di torture, ma è importante capire il contesto, che parte da un arresto arbitrario e continua con una detenzione preventiva, in cui non ci sono prove concrete e dove i diritti alla difesa sono limitati. Queste gravi condizioni sono favorite proprio da questo pregresso”. Cosa comporta essere giudicati da un tribunale militare? “L’applicazione di reati che sono tipici di una giustizia militare e che quindi dovrebbero riguardare solo i soldati che vengono meno ai valori di fedeltà, che compiono atti d’insubordinazione o che si macchiano del reato di tradimento. Quando questo viene applicato a un civile, come sta succedendo anche in Egitto, seguono la logica della Corte Marziale, quindi con processi accelerati e frettolosi, e senza una difesa adeguata”.

Cosa possiamo auspicare per il Venezuela e quale può essere l’apporto di un’associazione come Amnesty? “Contribuire a una ricerca indipendente e imparziale su quanto accade, che già non è poco, proprio per quel clima di politicizzazione di cui parlavo prima. In secondo luogo, favorire la giustizia, attraverso la richiesta di scarcerazione dei prigionieri di coscienza e la fine dell’uso del Tribunale militare. Queste sono richieste che facciamo al Governo quotidianamente. Sperare e chiedere la fine della violenza da entrambi i lati, garantendo il diritto di manifestare pacificamente senza l’uso della forza. La priorità deve rimanere quella dell’intervento per la crisi umanitaria di un popolo affamato, non deve diventare solo una battaglia politica. Non possiamo che auspicare un clima di pace, che vuol dire anche giustizia: il clima d’impunità deve essere affrontato e questo compete al Governo” conclude il portavoce.

Simona Buscaglia

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