E’ stato presentato a Roma il ‘Libro bianco Emicrania: una malattia di genere (Impatto socio-economico in Italia)’ curato dall’Istituto superiore di sanità. La ricerca ha permesso di chiarire l’impatto sulla società della patologia, che “predilige nettamente il sesso femminile” con un rapporto donna-uomo di tre ma che ancora resta “invisibile” o sottovalutata. Per questo è “fondamentale creare una cultura dell’emicrania, una consapevolezza sociale che consenta di abbattere lo stigma che grava su chi ne soffre. E consenta di far emergere le diverse problematiche in un’ottica di genere”.
Secondo gli esperti, è “necessario individuare delle strategie che possano migliorare la qualità di vita dei pazienti”. Partendo anche “dalla formazione e dall’informazione di medici di medicina generale”.
Purtroppo, si legge nello studio, esiste ancora oggi un vuoto normativo per cui le forme più severe non sono contemplate nei Lea, livelli essenziali di assistenza. Nonostante le pressioni e le evidenze delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti. E infatti i benefici dell’invalidità sono riconosciuti in due sole regioni, Lombardia e Veneto.
L’emicrania ha una prevalenza di circa il 27% nelle donne nel periodo compreso tra pubertà e menopausa. Raggiunge il picco nella quarta e quinta decade di vita, quindi nel periodo di maggiore produttività lavorativa e sociale. Studi condotti sulla popolazione italiana hanno dimostrato percentuali superiori alle medie individuate a livello mondiale, e preoccupanti.
“In Italia più di un paziente su quattro presenta una frequenza di emicrania superiore ai 5 giorni al mese. Che è unanimemente considerato valore soglia per l’adozione di una terapia preventiva. Ciononostante – scrivono nel documento gli esperti dell’Iss – questa viene adottata solo dall’1,6% dei soggetti eleggibili. I pazienti si sottopongono ad accertamenti diagnostici impropri o inutili (il 48,5%), con costi considerevoli a carico del Ssn (80% delle procedure eseguite impropriamente).
Inoltre emerge un altro dato: gli emicranici non sanno di potersi rivolgere ad uno specialist. Solo il 52,6% ne ha consultato uno nella propria vita, rivolgendosi nel 19,6% dei casi a specialisti non idonei, e coloro che hanno pensato di sentire un parere specialistico si sono rivolti in media a 7 diversi specialisti”.
L’emicrania può durare nel suo complesso fino a 5-6 giorni per ogni attacco, ricordano gli esperti nel report. Si tratta di un processo multifasico sequenziale che può comparire già 24 ore prima del dolore con sintomi vaghi quali stanchezza, irritabilità, depressione, sbadigli, particolare appetito per dolci (e tra questi il cioccolato). L’attacco vero e proprio dura dalle 4 alle 72 ore. In questa fase si sommano un dolore severo, riguardante tipicamente una metà del capo, e numerosi sintomi tra cui la nausea, spesso molto intensa, e il vomito, caratterizzato talora da conati ripetuti.
La donna emicranica presenta in genere un maggiore numero complessivo di comorbilità quali disturbi dello spettro affettivo, epilessia, sindromi dolorose croniche, allergie, asma e patologie circolatorie, queste ultime legate anche all’uso di contraccettivi ormonali.
“La scarsa attenzione sociale al problema dell’emicrania comporta una percezione della malattia come stigma da parte del 32,9% dei pazienti che, pertanto, è riluttante a rivelare il proprio problema agli altri. Inoltre – evidenzia il report – il 10% di tali pazienti non si sente compreso rispetto alla propria patologia da parenti e amici e il 12% dai colleghi in ambito lavorativo. Il paziente ritiene l’emicrania responsabile in qualche maniera di una compromissione della carriera scolastica nell’11,8% dei casi, di ridotti guadagni nel 5,9% e di sofferenze in ambito lavorativo nel 7,4%”.
In collaborazione con AdnKronos
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