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Stanno per essere definite le nuove linee guida italiane sull’encefalopatia epatica. Infatti il 2018 sarà l’anno in cui saranno rese note le novità circa l’approccio e la cura della malattia che colpisce il fegato. E’ una notizia che gli addetti ai lavori e i pazienti salutano con entusiasmo, anche perché le ultime indicazioni americane ed europee sull’argomento risalgono al 2014. Il board dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf) ha già cominciato a lavorare. Dei passaggi più importanti ci ha riferito Piero Amodio, docente di medicina interna all’università di Padova e già presidente della Società internazionale sull’encefalopatia epatica (Ishen).
Lo sguardo degli esperti italiani sarà puntato sull’Asia, in particolare sull’India, da dove arriva la maggior parte degli studi più significativi sulla patologia. “Questo – spiega Amodio – perché la casistica è molto diffusa, considerata l’enorme popolazione e anche l’incidenza di cirrosi e epatiti, malattie predisponenti all’encefalopatia epatica. Ci sono centri di riferimento che hanno un bacino d’utenza più grande della popolazione italiana: come se in Italia ci fosse un solo ospedale. Per avere un’idea: se in un centro specialistico italiano si visitano 50 pazienti al giorno, in uno indiano i pazienti visitati sono almeno 300. Questo, ovviamente, significa anche avere molti casi, quindi molti dati utili alla ricerca”.
Il documento con le nuove linee guida italiane sarà d’aiuto per definire l’approccio più adeguato alla malattia alla cui origine c’è il passaggio di sostanze tossiche, come l’ammonio, direttamente nel circolo sanguigno senza che siano ‘filtrate’ dal fegato. La produzione di queste sostanze considerate ‘veleni’, precisa Amodio, “avviene a livello del lume intestinale per opera dei batteri presenti nell’intestino, il microbiota, e delle stesse cellule intestinali”.
L’esperto spiega che le sostanze prodotte dal microbiota “possono essere ridotte con l’uso di alcuni zuccheri, in particolare il lattulosio”. L’altra arma a disposizione dei medici sono “gli antiobitici che non vengano assorbiti e che hanno la capacità di modificare la composizione e la funzionalità del microbiota”. Il più specifico “è la rifaximina, medicinale meno tossico e più ‘mirato’. Una molecola che è stata sintetizzata in Italia molti anni fa ed ora è riconosciuta a livello mondiale per la sua efficacia”, evidenzia il docente.
Nei pazienti con encefalopatia epatica “bisogna individuare innanzitutto la causa scatenante e rimuoverla. Ma bisogna anche, successivamente, evitare che gli episodi si ripresentino”, dice l’esperto. La prevenzione “è in parte legata allo stile di vita. Utile quindi un’alimentazione ricca di fibra. Un recente studio indiano, ad esempio, ha indicato che nelle forme lievi una dieta ricca di legumi può ridurre il quadro dei sintomi a livello cerebrale”. L’indicazione generale è “l’uso continuato del lattulosio, in grado di dimezzare la ricaduta in un anno. Ma se si aggiunge la rifaximina la ricaduta si dimezza ulteriormente”, conclude Amodio.
In collaborazione con AdnKronos
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