Ogni anno tra gli 8mila e i 10mila italiani devono fare i conti con l’encefalopatia epatica, complicanza della cirrosi dagli effetti anche molto gravi. Il dato, sottolineato all’AdnKronos Salute da Erica Villa, professore ordinario di Gastroenterologia, all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore della Gastroenterologia dell’azienda ospedaliero-universitaria di Modena, è importante e non solo per il numero di pazienti coinvolti: le problematiche dell’encefalopatia epatica spesso vengono sottovalutate ma possono degenerare fino al coma. La causa è una: l’accumulo di ammonio. Il fegato malato di cirrosi infatti non riesce più a gestirlo e l’ammonio entra in circolo, colpendo il cervello. Il risultato è una sorta di annebbiamento, con difficoltà a concentrarsi, cali di attenzione, problemi nei lavori manuali, scatti di rabbia e una serie di comportamenti che vengono letti spesso come effetti dell’età ma che invece sono dovuti alla malattia.
Il dato dei pazienti colpiti dall’encefalopatia epatica è variabile e dipende anche dalla prevalenza della cirrosi epatica, spiega Villa, ma sono comunque dati a cui fare molta attenzione, anche perché l’encefalopatia epatica di tipo C colpisce il 30-40% dei pazienti con cirrosi.
Questo perché i sintomi non sono semplici da riconoscere. Cali dell’attenzione, difficoltà di concentrazione, deficit cognitivi e delle abilità spaziali, confusione, difficoltà a svolgere lavori manuali di precisione, agitazione psicomotoria, aggressività: sono tutte situazioni che spesso vengono letti come effetti dell’età che avanza ma che possono invece nascondere l’encefalopatia epatica.
I sintomi possono crescere a poco a poco o esordire in maniera eclatante “come complicanza magari scatenata da un eccesso di terapia diuretica o da infezioni concomitanti“, chiarisce la specialista. La situazione può degenerare in fretta e, nei casi più gravi, arrivare al coma.
Senza arrivare alle conseguenze più importanti, l’encefalopatia epatica ha effetti negativi sulla qualità di vita dei pazienti. Da qui la necessità di “una diagnosi precoce e tempestiva“, continua Villa, che permette “se non altro, di rallentare la progressione di questa condizione e di prevenirne la ricorrenza“.
Se non trattata infatti, l’encefalopatia epatica può tornare. “Si tratta di un’alterazione della funzione neurosensoriale dei pazienti con cirrosi epatica“, spiega ancora Villa. Di norma è “una manifestazione abbastanza tardiva di malattia, ma ha la caratteristica di essere facilmente soggetta a dei nuovi episodi e quindi ha necessità di essere identificata e trattata in modo da riportare il paziente a una qualità di vita importante“.
La prima guida per il medico “è un’accurata anamnesi del paziente“, a cui seguono gli esami di laboratorio, a partire dal dosaggio dell’ammoniemia, che permette di identificare il sospetto di encefalopatia epatica. Appurata la malattia, si può intervenire su diversi fronti, con una dieta equilibrata e il mantenimento della funzione intestinale grazie a farmaci di ultima generazione che permettono un netto miglioramento della qualità della vita e dello stato di salute del paziente.