Per molti secoli le parole energia e carbone sono andate di pari passo: questo combustibile fossile formatosi nel pianeta circa 300 milioni di anni fa, è stata la principale fonte per il riscaldamento prima, e l’elettricità poi, sin dal Medioevo, quando fu cominciato ad essere estratto dall’uomo, prima di essere soppiantato dal petrolio. Ma quali sono le conseguenze derivanti dall’uso del carbone? Oggi che le questioni ambientali sono uno dei nodi cruciali della contemporaneità, si è compreso come l’uso di questo materiale per la produzione di energia sia uno dei fattori principali dell’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, causa principale dell’effetto serra e del riscaldamento globale. Anche per questo nel mondo si tende a utilizzarne sempre meno: tuttavia, come vedremo in questa analisi dettagliata, molti Paesi sono ancora fortemente dipendenti dal carbone come fonte energetica.
Il carbone continua ad essere dunque ancora una delle principali fonti di energia dell’umanità, per quanto sempre più bistrattata e mal considerata dall’opinione pubblica internazionale e dagli stessi governi: una delle ultime stime effettuate dalla scienza nel 2010 vedeva questo combustibile ancora responsabile del 40 per cento dell’energia elettrica mondiale, e le riserve accertate ammontavano a circa 300 anni di produzione.
Cos’è il carbone
Il carbone è un combustibile fossile formatosi all’interno di rocce sedimentarie di colore scuro, ed è composto principalmente da carbonio e da altri minerali accessori, tra cui idrocarburi e derivati dello zolfo. Secondo gli scienziati è nato sul pianeta circa 300 milioni di anni fa, quando un clima caldo e umido e un’elevata concentrazione di CO2 ha generato degli alberi giganti, dalla cui morte e successiva degradazione sono scaturiti i carbon fossili. Si è cominciato ad estrarlo dal Medioevo, ma l’uso massiccio di questo materiale coincide con la Rivoluzione Industriale: oltre ad un uso diretto come fonte di energia, il carbone può essere raffinato attraverso gassificazione o liquefazione, rimanendo comunque sostanze inquinanti per l’atmosfera.
Impatto ambientale
Per quanto alcunii esperti continuino a ritenere che i combustibili fossili come il carbone presentino una serie di vantaggi, è stato oramai accertato che l’uso sistematico di questi materiali abbia prodotto una quantità tale di biossido di carbonio nell’atmosfera terrestre da incidere sul clima del pianeta. I mutamenti in atto negli ultimi decenni, con un riscaldamento sempre più preoccupante a livello globale, mette in pericolo biodiversità e la stessa esistenza dell’uomo, che potrebbe trovarsi nei prossimi decenni impossibilitato a vivere in un pianeta desertificato. L’eccesso delle attività umane rispetto alle esigenze della Natura ha dato un contributo determinante al surriscaldamento, e in questo degrado della nostra atmosfera dovuto al rilascio di gas serra ha contribuito anche l’utilizzo del carbone: proprio per questo i governi del mondo si stanno impegnando per mantenere sotto i 2 gradi centigradi la temperatura media globale, per cercare di tornare ai livelli che furono propri dell’era pre-industriale.
I danni derivanti dall’utilizzo del carbone come fonte di energia non finiscono qui: durante la combustione infatti, lo zolfo e l’azoto presenti nei combustibili fossili formano a loro volta ossidi che contribuiscono alla formazione delle piogge acide che danneggiano il pianeta. Queste piogge sono il risultato di una complessa serie di reazioni chimiche di varia provenienza, tra cui vi è indubbiamente anche la combustione del carbone. Oggi che si conosce la pericolosità del carbone, di fronte all’importanza che comunque ancora riveste nel fabbisogno energetico mondiale, sono allo studio numerose ricerche per ridurre l’impatto ambientale nel momento della combustione per cercare di attenuare la portata del suo impatto.
Il problema delle miniere
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Una pericolosità specifica del carbone è legata alla sua estrazione nelle miniere: se è vero che il carbone è una materia prontamente disponibile e la più economica tra le fonti energetiche, non di meno il lavoro delle miniere risulta assolutamente rischioso, tanto per la salute e la vita dei lavoratori, quanto per l’ambiente. Dalla prospettiva ecologica si deduce che le più pericolose sono le miniere a cielo aperto, poiché secondo alcune tesi i gas prodotti durante l’attività estrattiva genera un enorme effetto serra, con un rilascio di CO2 superiore rispetto al momento della combustione. Inoltre queste miniere sono responsabili della contaminazione dell’acqua contenuta in interi bacini idrici, come accertato in Paesi come la Cina, che fanno un grande uso del combustibile.
Dal punto di vista della salute invece, le miniere più pericolose sono quelle tradizionali che si trovano a più di 200 metri di profondità e con un calore superiore ai 30 gradi, per cui è molto facile che scoppino incendi, causa prima di mortalità. Senza contare l’alta possibilità di contrarre malattie come la silicosi, una forma di fibrosi polmonare conseguente all’inalazione di polvere contenente biossido di silicio.
Impatto sulla salute
Non soltanto i minatori hanno a che fare con le conseguenze derivanti dall’uso del carbone dal punto di vista della salute: l’estrazione del carbone è stata spesso correlata a numerose patologie, tra cui ipertensione e malattie renali, ma soprattutto a malattie respiratorie, dall’enfisema all’asma bronchiale. Anche soltanto vivere nei pressi delle miniere, senza lavorarci dentro, ha comportato in base agli studi statistici pubblicati negli anni un aumento della contrazione di queste patologie da parte della popolazione. E lo stesso discorso vale anche per le centrali, responsabili di varie polveri sottili: non soltanto il famigerato Pm10, ma anche il cosiddetto particolato fine e ultrafine, PM2.5 e PM0.1, sono responsabili di danni cardiologici e polmonari. Secondo associazioni come il WWF non è possibile parlare di carbone pulito, nemmeno con le centrali di ultima generazione.
Produzione mondiale del carbone
Come abbiamo accennato, per quanto biasimato e condannato, il carbone continua a vantare fior di produttori e consumatori, ed anche se la conversione verso fonti di energia pulite e rinnovabili sta prendendo sempre più piede, i Paesi occidentali e le grandi economie emergenti ne fanno ancora un notevole uso. Oltre all’abbondanza di riserve presenti, che secondo una stima effettuata nel 1996 potrebbe garantirne l’utilizzo per i prossimi 300 anni, c’è da sottolineare come l’utilizzo di questo combustibile sia in parte connesso anche alle attività dell’industria siderurgica, che dipende da questa fonte per il 70 per cento del suo fabbisogno energetico, assorbendo il 15 per cento della produzione mondiale, oltre 1,2 miliardi di tonnellate l’anno: non è un caso che tra i Paesi che ne fanno un largo uso vi sono autentici colossi del settore come ad esempio la Germania.
Quali sono i Paesi maggiormente coinvolti nell’uso del carbone? In testa figura la Cina, che nel 2012 estraeva il 46 per cento e consumava il 49 per cento della produzione mondiale: per quanto il governo abbia annunciato nel 2015 una svolta modificando le proprie politiche energetiche, la crescita economica esponenziale del Paese ha condotto negli ultimi 20 anni addirittura ad una necessità di importare ulteriore carbone oltre quello estratto in loco. Seguono in questa classifica Stati Uniti, India, Giappone e Russia: in generale il 90 per cento della produzione mondiale di carbone è fornita da dieci Paesi, e sul piano del consumo l’85 per cento del carbone viene sfruttato da altrettante nazioni, ma otto fanno parte dello stesso gruppo dei produttori. Evidentemente una vera svolta che porti alla riduzione del carbone come fonte di energia deve passare attraverso cambiamenti di questi pochi Paesi, responsabili di gran parte dell’inquinamento atmosferico della Terra.
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