A più di trent’anni dal clamoroso arresto di Enzo Tortora, un libro raccoglie le lettere scritte dal carcere alla compagna Francesca. Una quarantina di missive che raccontano l’umiliazione, la rabbia, la disperazione ma anche la speranza di un uomo vittima del più grande errore giudiziario dell’Italia del Dopoguerra. Ingiustamente accusato di essere camorrista, Tortora trascorse in carcere 7 lunghi mesi documentati, con grande forza e lucidità, attraverso le tantissime lettere che scrisse ai propri cari. Questo libro dal titolo ‘Lettere a Francesca‘ – 218 pagine, pubblicato da Pacini Editore – racconta, con estrema lucidità, le dure condizioni carcerarie, testimoniando, al contempo, la grande forza del presentatore nel battersi contro ‘una giustizia ingiusta’.
Era il 23 giugno del 1983 quando Enzo Tortora, presentatore garbato, ironico e all’apice del successo – la sua trasmissione Portobello arrivò a sfiorare i 30 milioni di spettatori – venne arrestato con l’accusa clamorosa di essere un affiliato della nuova camorra di Cutolo. Nei sette mesi trascorsi in carcere, fino al 17 gennaio del 1984 quando il giudice dispose i domiciliari, Tortora scrisse un’infinità di lettere alla compagna, pubblicate per la prima volta nel libro dal titolo ‘Lettere a Francesca‘. Sono pagine cariche di dolore, di rabbia e frustrazione, non solo per le condizioni ‘fisiche’ della detenzione – ‘ci pigiano in sette, in pochi metri’ – ma soprattutto per la lotta che il presentatore, innocente, intraprese contro un’accusa ‘impegnatissima a dover dimostrare il contrario’.
Non solo. Se da un lato gli scritti raccolti nel libro ‘Lettere a Francesca‘ testimoniano l’incredulità di un uomo di fronte ad un’infamia terribile, quella che lo vedeva ingiustamente imputato per associazione camorristica e traffico di droga, dall’altra svelano lo sgomento per la reazione dell’opinione pubblica rispetto ad una vicenda clamorosa come questa: ‘sto pensando di chiedere il cambio di cittadinanza, questo Paese non è più il mio’, scrive Enzo Tortora riguardo al comportamento dei media e di alcuni suoi ‘amici’ colleghi che, all’epoca dei fatti, dubitarono della sua buona fede.
Un’angoscia, quella di Enzo Tortora, che durò diversi anni: dopo la detenzione in carcere e gli arresti domiciliari, fu prima condannato nel settembre dell’85, e poi assolto con formula piena esattamente un anno dopo. Ma l’umiliazione subita, le immagini del suo arresto – che, da quel 23 giugno si rincorrevano quasi ininterrottamente tra giornali e tv – l’ingiustizia di cui fu vittima, spinsero il presentatore a riflettere a fondo sul sistema giudiziario italiano: nelle lettere a Francesca raccolte nel libro, infatti, Enzo Tortora sottolinea più volte la drammaticità dei processi infiniti, la cattiva gestione delle prove e, soprattutto, la tendenza dei magistrati a dar credito alle testimonianze di pentiti mendaci.
Un calvario lunghissimo, dunque, drammaticamente testimoniato dalle lettere raccolte in questo libro, in cui, rivolto alla compagna Francesca, Enzo Tortora mette a nudo tutta la sua rabbia, il dolore e la sofferenza subita, quella stessa sofferenza che, a causa di una clamorosa ingiustizia, lo portò a morire, il 18 maggio dell’88, stroncato da un tumore polmonare.