Mala tempora currunt: a causa dell’emergenza coronavirus, con il Dpcm “Io resto a casa” dal 10 marzo tutta Italia è stata dichiarata zona protetta. Per contrastare la diffusione del virus sul territorio nazionale a tutti i cittadini è stato richiesto di limitare gli spostamenti allo stretto necessario; per il resto, gli italiani sono stati caldamente invitati a rimanere nelle proprie abitazioni, con tanto di multe e sanzioni penali per chi si sposta ingiustificatamente. Bisogna dunque restare a casa, in una sorta di autoquarantena o isolamento domiciliare: una situazione sicuramente nuova per tutti noi al giorno d’oggi, ma già conosciuta e sperimentata dai nostri antenati, che in più di un’occasione ebbero a che fare con quarantene ed epidemie nella storia, in particolare a partire dalla metà del XIV secolo.
Nel 1348 la società europea fu colpita da un’inaspettata epidemia di peste che nel giro di pochi mesi si diffuse in tutta Europa, Italia compresa. Tra tutte le epidemie che si sono verificate nel corso della storia, quella di peste nera del 1348, importata dall’Asia, fu senza dubbio la più spaventosa, anche a causa dell’altissimo tasso di mortalità, in particolare nella cosiddetta forma bubbonica: la popolazione del continente ne uscì decimata. Quella del 1348 fu peraltro soltanto la prima, sebbene la più tragica, di una serie di epidemie di peste che colpirono l’Europa nella seconda metà del XIV secolo. A causa delle scarse condizioni igieniche, la peste nera interessò soprattutto i ceti sociali medio-bassi delle popolazioni urbane, che furono dunque le più colpite – si ritiene fino a un terzo della popolazione.
Grandissimi furono dunque lo sgomento ed il terrore dei contemporanei nei confronti dell’improvvisa epidemia, che venne allora interpretata per lo più come una punizione divina o come espressione di un influsso maligno. Ciò era dovuto al fatto che la peste era ancora una malattia sconosciuta che non si sapeva come contenere e curare. Riguardo all’epidemia del 1348 le fonti storico-narrative dell’epoca ci hanno dunque tramandato racconti e descrizioni di scenari terribili e catastrofici.
Tra queste la più celebre è senza dubbio quella che viene fatta nel Decameron da Giovanni Boccaccio. Nell’introduzione alla prima Giornata l’illustre scrittore fiorentino descrive magistralmente l’epidemia di peste che colpì Firenze nel 1348, riportando un quadro della situazione che per certi versi sembra essere oggi più che mai attuale: “Ed erano alcuni, li quali avvisavano che il viver moderatamente ed il guardarsi da ogni superfluitá avesse molto a cosí fatto accidente resistere: e fatta lor brigata, da ogni altro separati viveano, ed in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi dove niuno infermo fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi ed ottimi vini temperatissimamente usando ed ogni lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare ad alcuno o volere di fuori, di morte o d’infermi alcuna novella sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver poteano si dimoravano. Altri, in contraria oppinion tratti, affermavano, il bere assai ed il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando ed il sodisfare d’ogni cosa all’appetito, che si potesse, e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male: e cosí come il dicevano, il mettevano in opera a lor potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo e senza misura”.
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