L’ergastolo ostativo entra in vigore nei primi anni ’90, dopo le stragi di mafia che hanno colpito i magistrati Falcone e Borsellino. Tale condanna perpetua fu proposta per incentivare i criminali di stampo mafioso a collaborare con le forze dell’ordine. Infatti, l’ordinamento penitenziario, secondo l’Art.4 bis, comma 1, prevede l’impossibilità di accedere ai benefici penitenziari da parte del condannato, in caso di un mancata collaborazione con la Magistratura e qualora il condannato non sia stato riabilitato durante la detenzione. Ostativo è uno status di quei detenuti che si sono “macchiati” di particolari reati: associazione di tipo mafioso, estorsione e sequestro di persona e associazione criminale finalizzata allo spaccio di droga.
All’origine della faccenda c’è il ricorso proposto da un detenuto, Marcello Viola, contro la Repubblica italiana, il quale, nel 12 dicembre del 2016, ha fatto appello alla Corte di Strasburgo allo scopo di far analizzare il proprio caso. Il condannato, detenuto presso la Casa di Reclusione di Sulmona, scavalcando lo Stato si è rivolto direttamente alle autorità internazionali, dichiarando l’ergastolo ostativo una pena che vìola i fondamentali diritti dell’uomo. La CEDU, di tutta risposta, ha accolto il ricorso e ha sentenziato che l’ergastolo ostativo è una chiara violazione degli Art. 3 e 8 della Convenzione europea di diritti dell’uomo, ammonendo lo Stato italiano riguardo la faccenda.
Il 22 ottobre, in parallelo, la Corte Costituzionale si è riunita per deliberare sull’argomento, dopo i recenti casi di Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, appurando che l’ergastolo ostativo è in contraddizione con l’Art.27, comma 3, della Costituzione italiana, che dichiara così: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Infatti, accertata l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, la Corte costituzionale ha modificato la pena, traducendola da assoluta a relativa.
Di fatto, il pena fine mai non si rifarà più sul condannato che si rifiuta di denunciare i propri complici, ma piuttosto sui soggetti che non hanno abbandonato il proprio legame con le associazioni di cui facevano parte e considerati ancora pericolosi, in quanto non rieducati dal sistema penitenziario. Quindi la palla passa ai giudici di sorveglianza, i quali hanno il compito di valutare la pericolosità sociale del detenuto, unico fattore che può ratificare l’ergastolo ostativo. La rettifica della pena sembra, dunque, un giusto compromesso, poiché in molti casi il detenuto si trova impossibilitato a collaborare, in quanto teme ritorsioni contro di sé o contro la propria famiglia, o ancor peggio il processo di riabilitazione, previsto dall’istituzione carceraria, fallisce.
La privazione della libertà personale nei confronti dei soggetti che trasgrediscono le norme è un argomento delicato, siccome spesso si perdono di vista i veri obbiettivi di tale pratica. Infatti, già nell’antichità, la reclusione non veniva considerata come misura punitiva, in quanto serviva ad continendos homines, non ad puniendos. Più tardi, in epoca moderna, l’istituzione carceraria si pose l’obbiettivi di una rieducazione dei soggetti deviati, cosicchè lo Stato potesse recuperare quell’unità sociale persa reinserendola nella collettività. Questo principio viene spesso dimenticato, poiché le società moderne impongono il principio del usa e getta, applicato in ogni campo dell’esistenza, etichettando ed emarginando i soggetti che contravvengono alla legge, senza possibilità di una redenzione. In tal senso, l’ergastolo ostativo nega il principio rieducativo, infatti la possibilità di una seconda occasione è un diritto inalienabile dell’uomo.
Di contro, l’ergastolo ostativo però è rivolto ad arginare una minaccia che attanaglia la penisola fin dalla sua nascita, la Mafia. Infatti, questa misura permette allo Stato di tenere sotto scacco le associazioni criminali, una volta catturati i membri, i quali più propensi alla collaborazione. Inoltre, cosi facendo, si lascia un eccessivo potere agli organi deputati alla valutazione, introducendo un principio di discrezionalità, che può rivelarsi un’arma a doppio taglio nel caso in cui si presentassero pressioni da parte dei clan mafiosi. La questione è controversa sotto l’aspetto etico, giuridico e sociale.
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