Quali sono gli errori più comuni della lingua italiana? Vincenzo Ostuni, editor di una casa editrice, da qualche tempo ha iniziato a catalogare gli errori di grammatica più diffusi tra gli italiani: non solo sbagli ortografici, ma anche locuzioni utilizzate in maniera errata, frasi fatte ormai stantie, luoghi comuni diventati logori. Il risultato è un bestiario che talvolta fa venire la pelle d’oca. Uno degli errori più diffusi, per esempio, è quello relativo all’espressione “piuttosto che“, che viene utilizzata nella maggior parte dei casi in maniera impropria.
Una frase come “Ho sempre voluto andare in vacanza in Grecia, piuttosto che in Turchia o a Cipro“, viene oggi interpretata come “Ho sempre voluto andare in vacanza in Grecia, ma anche in Turchia o a Cipro“. Il suo significato reale, però, è esattamente il contrario: “Ho sempre voluto andare in vacanza in Grecia, invece che in Turchia o a Cipro“.
La conseguenza di un errore tanto evidente è una confusione semantica che non fa capire, al lettore o all’interlocutore, cosa si voglia realmente dire.
Altri esempi di sbagli diffusi? L’utilizzo della parola “affatto” come sinonimo di “assolutamente no“. In realtà “affatto” vuol dire “assolutamente” e basta. Quindi, se ci chiedono “Sei contento ?” e rispondiamo “Affatto“, stiamo dicendo che siamo davvero contenti, e non che non siamo per niente contenti. Se volessimo sottolineare che non siamo contenti, dovremmo usare l’espressione “Niente affatto“.
Ostuni evidenzia anche l’abuso del termine “assolutamente“: “Assolutamente rafforza quel che lo accompagna, quindi meglio non usarlo da solo, e senz’altro non per intendere ‘assolutamente no’. Ma l’aspetto più sgradevole dell’uso di questa epressione è la continua e insistita enfasi“.
Ma per quale motivo tali errori comuni in italiano si diffondono con tanta facilità? “È spesso difficile ricostruire la genesi dell’utilizzo scorretto di vocaboli e locuzioni, ma una cosa è certa: vige l’effetto contagio“, dice Ostuni.
Altrettanto pericoloso, poi, è il linguaggio da marketing o da manager: nascono espressioni come “attenzionare” o “briffare” (reso famoso da un’intercettazione di Nicole Minetti) spesso dovute all’italianizzazione di parole inglesi (“briffare” deriva da “briefing“). Ci può stare nel linguaggio che si adopera sul posto di lavoro (anche se fa molto yuppie), ma non quando si scrive o quando ci si rivolge ad estranei.
E voi che ne pensate? Quali sono gli errori che vi fanno rabbrividire?