Per danni permanenti a un neonato, tre medici sono stati condannati a risarcire la famiglia per 2,1 milioni di euro.
È la decisione presa oggi dal Tribunale Civile di Roma, dopo aver analizzato il caso avvenuto nel 2007. Una donna era in uno stato di gravidanza sofferente ma i sintomi sono stati sottovalutati per troppo tempo, tanto che quando il personale sanitario è intervenuto era troppo tardi e il piccolo ha riportato conseguenze negative che tutt’ora che è quasi maggiorenne, necessitano di cure.
Errori prima del parto, medici di Roma sotto accusa
Errori di sottovalutazione possono comportare in ambito medico conseguenze irreparabili? È proprio quello che è successo a Simone, il ragazzo 16enne che oggi è il protagonista della storia che vi raccontiamo.
Lo chiameremo così durante l’articolo ma non è questo il suo vero nome, però si è voluto tutelare in questo modo la sua privacy perché la notizia è di tale importanza che necessita di essere riportata.
È venuta alla luce solo oggi ma i fatti risalgono al 2007, precisamente alle 14 del 7 giugno, quando il bambino non era ancora nato e la sua mamma era in ospedale in attesa di partorire. Mancava poco tempo al parto ma il tracciato cardiaco della donna era in sofferenza. I medici non notarono che la situazione era grave, anche perché le problematiche sopraggiunsero durante il cambio turno del reparto di Ostetricia.
C’era un gran viavai nell’ospedale di Tivoli. Quella negligenza porterà il nascituro ad avere problemi permanenti che ancora oggi accusa.
Il neonato venne sottoposto a uno shock molto pesante e in particolare a uno stress respiratorio da cui non si è mai ripreso. Simone ha danni permanenti e ora il suo caso, su cui le forze dell’ordine hanno indagato per anni, è arrivato a un punto di svolta.
Il risarcimento
Furono gli stessi genitori di Simone a sporgere denuncia per quanto accaduto, si accorsero subito infatti che la donna non era stata trattata con professionalità e il personale medico aveva lavorato con superficialità di fronte a una condizione che invece appariva molto grave.
La mancata tempestività nello stabilizzare, durante il parto, lei e il piccolo che stava per venire al mondo, hanno provocato dei problemi a quest’ultimo, questo quanto denunciato dai genitori di Simone che oggi hanno ottenuto una grande vittoria sebbene nulla potrà cancellare il dolore nella perdita di fiducia verso un ospedale, considerato il luogo più sicuro a cui affidarsi.
Ora la Corte die Conti ha condannato i due medici e l’ostetrica dell’Asl Roma 5 che quel 7 giugno del 2007 erano di turno e dovevano assistere la partoriente. I tre dovranno corrispondere alla coppia, che vive con il figlio in un piccolo paesino in provincia di Roma, 2,1 milioni di risarcimento danni.
Il personale medico ha avuto un comportamento gravoso, infatti hanno sottovalutato sintomi importanti, tanto che poi la situazione è degenerata e la donna è stata trasferita in terapia intensiva per la sofferenza del feto dovuta a una sindrome da inalazione del meconio.
Significa che il materiale fecale del feto ha invaso il liquido amniotico contaminandolo sebbene si tratti di materiale sterile. Il bambino ne è entrato a contatto e le prime analisi effettuate hanno dimostrato proprio la presenza di danni compatibili con la presenza di queste prime feci nell’utero materno.
Secondo le ipotesi avanzate dalla Procura del Lazio tale condizione è stata causata dalla condotta dei medici, che hanno temporeggiato troppo prima di intervenire, tralasciando la gravità dei sintomi.
I genitori di Simone non hanno mai perso la speranza di avere giustizia per il bambino che oggi è un adolescente con alcuni problemi dell’apparato respiratorio, evidenti anche alla nascita, quando si è dovuti intervenire per aspirare il meconio inalato quando era ancora un feto.
Inizialmente la battaglia legale si era conclusa con un risarcimento quantificato in 3 milioni, poi è stato ridimensionato in 2,1 milioni e l’azienda sanitaria ha deciso di rivalersi sui suoi medici distaccandosi completamente dal loro operato non professionale. Un modo di fare che ha messo in pericolo la vita sia della madre che del neonato.