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Le elezioni europee 2014 ci hanno regalato un Parlamento europeo senza una maggioranza netta e con l’ombra dell’euroscetticismo a dominare le prima pagine. Dalle urne escono ridimensionati sia i socialisti (salvati dal solo Matteo Renzi) sia i popolari, mentre prendono quota i partiti dell’estrema destra, tutti accomunati dal rifiuto della moneta unica e da mire nazionaliste. Questi venti di secessione rappresentano, per l’Unione Europea, un problema non solo dal punto di vista politico ma anche economico. La Banca Centrale Europea risentirà del risultato delle elezioni europee? Cambierà la sua politica per mettere a tacere gli euroscettici?
Partiamo dalla causa, cercando di capire quali sono i motivi che spingono i cittadini a votare un partito che spinge per l’uscita dall’euro. La radice di molti di questi movimenti (dal Front National di Marine Le Pen all’Ukip di Nigel Farage, passando per la nostra Lega Nord) è di estrema destra. Questo dovrebbe rendere la base elettorale estremamente omogenea e ridotta, ma le elezioni hanno dimostrato che non è sempre così. Quando il malcontento cresce, chi riesce a farsi portavoce del sentimento popolare conquista terreno. Con una sana dose di populismo e una ricetta a base di ritorno alla moneta sovrana, chiusura delle frontiere e autarchia produttiva. La crisi economica degli ultimi anni ha eroso posti di lavoro, mandando in bancarotta aziende e sul lastrico chi si riteneva al riparo da ogni rischio.
Per combattere gli effetti a catena della crisi, i governi sono stati costretti a una politica restrittiva, fatta di tagli più che di investimenti. Una linea di condotta seguita anche dall’Italia e comandata dall’Unione Europea. La BCE ancora oggi vigila con attenzione sui conti dei Paesi a rischio, così è diventata una sorta di caprio espiatorio per tutti i problemi. Se l’Europa non cresce, secondo i demagoghi, è colpa della Banca Centrale Europea che tiene il cordone della borsa ben stretto, colpa della Germania che pilota l’Unione per i suoi interessi. La soluzione, allora, è liberarsi da questi legacci e tornare a una politica economica sovrana. A parole è tutto molto bello, ma le conseguenze potrebbero essere disastrose per un’economia in affanno come la nostra.
Ecco perché in Italia il PD è riuscito a prevalere, perché finalmente ci siamo resi conto che senza Europa non possiamo più esistere. Il vero punto interrogativo è se e come la politica dell’UE cambierà ora che gli euroscettici hanno dominato le elezioni europee 2014 e si stanno riversando in massa nelle sue aule del potere. Diciamo subito che non è ancora chiaro cosa accadrà nei prossimi mesi: in linea generale la BCE ha obiettivi di politica monetaria slegati dall’andamento politico, quindi la linea di condotta potrebbe rimanere la stessa tenuta finora. D’altra parte, però, l’euroscetticismo è un segnale da non sottovalutare, quindi la famosa borsa di cui sopra potrebbe aprirsi, passando dalla fase della politica contenitiva a quella delle iniziative volte alla crescita.
Visto che i venti di crisi sono tutt’altro che lontani, la prima iniziativa potrebbe dunque essere quella di assicurare liquidità a buon mercato per gli Stati membri (ovvero tassi di interesse più bassi), in modo da consentire maggiore stabilità finanziaria e riforme a favore di imprese e famiglie. In Italia la maggiore libertà dovrebbe essere utilizzata per tagliare (per davvero, però!) la pressione fiscale, agendo sia sulle imposte da lavoro che su quelle da impresa. Perché se da noi gli euroscettici (Movimento 5 Stelle e Lega Nord) non hanno sfondato, non vuol dire che il ricordo della Lira sia finito in soffitta per sempre. Il senso di appartenenza all’Europa si coltiva anche attraverso le buone azioni economiche.
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