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Categories: Cronaca

Fabbrica lager sequestrata in Abruzzo: operai picchiati e costretti a implorare la paga

In Val di Sangro, Pescara, è stata sequestrata una fabbrica lager e l’imprenditore titolare è stato arrestato insieme a un altro 58enne romeno residente in provincia di Teramo. Quest’ultimo era una sorta di intermediario che si occupava di reclutare gli operai da far lavorare quasi in condizioni di schiavitù. All’intero dell’azienda, i dipendenti, tutti stranieri, venivano sfruttati, picchiati e malpagati. I lavoratori, inoltre, erano costretti a vivere ammassati in un’abitazione pagando 500 euro ciascuno, somma che veniva trattenuta dai pagamenti in busta paga.

L’inchiesta, condotta dalla Procura di Lanciano, ha portato alle ordinanze di custodia cautelare. L’azienda che operava nel settore saldature è stata dunque sequestrata e due uomini sono stati arrestati con le accuse di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Altri tre italiani responsabili dell’azienda sono indagati, il gup Massimo Canosa ha deciso di farli rimanere a piede libero ma l’accusa, anche per loro, è la stessa.

Da intercettazioni telefoniche è emerso che alcuni di loro chiedevano al titolare di azienda 10 o 20 euro per poter comprare del pane. In una conversazione l’imprenditore promette: ‘domani ti faccio un po’ di spesa’. In una circostanza a un dipendente picchiato è stato vietato, dietro minaccia, di farsi medicare al pronto soccorso. Solo il giorno dopo l’uomo è riuscito a farsi visitare dopo aver percorso 15 chilometri a piedi, perché non aveva nemmeno i soldi per comprare il biglietto per l’autobus.

Secondo quanto rilevato dalle indagini, il licenziamento di questi lavoratori sfruttati veniva gestito al bisogno: ‘Alcuni operai regolarmente assunti, dopo essere stati verbalmente licenziati mediante intimazione a non presentarsi più sul luogo di lavoro, si accorgevano successivamente che era stata comunicata la loro volontaria dimissione al competente ufficio provinciale del lavoro, mediante l’invio da parte della ditta di una lettera di dimissione, mai firmata dal lavoratore‘. Dal momento che risultava una dimissione volontaria, non potevano ricevere alcun sussidio di disoccupazione.

Ovviamente in un contesto precario come quello in cui ci troviamo ancora oggi, pochi avevano il coraggio di alzare la voce, perché avevano bisogno di quel lavoro nonostante tutto, affermano convinti gli inquirenti.

Kati Irrente

Giornalista per vocazione, scrivo per il web dal 2008. Mi occupo di cronaca italiana ed estera, politica e costume. Naturopata appassionata del vivere green e della buona cucina, divido il tempo libero tra musica, cinema e fumetti d'autore.

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