Nessun risarcimento potrà ridare indietro alla sua famiglia Fabrizia di Lorenzo, la vittima italiana della strage ai mercatini di Natale a Berlino, ma la Germania deve riconoscere le sue responsabilità e non trattare la sua morte come un incidente stradale. Sono le parole di mamma Giovanna, papà Gaetano e il fratello Gerardo, raccolte dal Corriere della Sera a due mesi dalla tragedia del 19 dicembre 2016 che portò via Fabrizia e causò 11 morti e 60 feriti. Nel racconto di quei giorni, prima che il Dna confermasse la morte della giovane, emerge il trattamento irrispettoso delle autorità tedesche che hanno lasciato soli i parenti di tutte le vittime, in contrasto con la vicinanza dei funzionari e dello Stato italiano. L’immagine della perfetta macchina statale teutonica ne esce più che macchiata: la beffa finale arriva dalla stessa legge tedesca che non riconosce Fabrizia vittima del terrorismo perché uccisa da un veicolo e non da un’arma, equiparando la sua morte a quella in un incidente stradale. Per i suoi genitori non ci sarà dunque un risarcimento come vittima del terrorismo ma solo qualcosa dal fondo per le vittime della strada.
I genitori e il fratello di Fabrizia di Lorenzo si sfogano per la prima volta con il quotidiano di via Solferino e raccontano il retroscena di quei giorni, quando la giovane non era ancora ufficialmente una vittima della strage compiuta da Anis Amri che usò un camion per piombare sulla folla dei mercatini natalizi di Charlottenburg, in pieno centro a Berlino.
GIOVANE, SOLARE, PIENA DI VITA: CHI ERA FABRIZIA DI LORENZO
La storia di Fabrizia era quella di tanti giovani italiani partiti per l’Europa in cerca di un lavoro. Laureata in relazioni internazionali e diplomatiche, un master in tedesco, la giovane era partita da Sulmona, in provincia dell’Aquila, verso Berlino dove aveva trovato lavoro in una società di logistica, la 4 flow, integrandosi in tutto nella fredda capitale tedesca.
I suoi profili social hanno svelato anche a chi non la conosceva di persona una parte del suo carattere: il suo ultimo tweet era riferito al referendum del 4 dicembre ed era rivolto “contro i dinosauri” che tengono “immobile” il paese.
Fabrizia era una ragazza italiana ed europea, che lottava contro i pregiudizi sugli immigrati islamici: i genitori ricordano che la sua tesi era incentrata sulla loro integrazione. Difficile immaginare che un immigrato non integrato, lasciatosi sedurre dal terrorismo, potesse ucciderla nel cuore d’Europa, a Berlino.
La sua morte è resa ancora più dolorosa dall’atteggiamento delle autorità tedesche che non hanno saputo dimostrare un briciolo di umanità per la famiglia e gli amici, lasciandoli da soli. Mamma Giovanna era partita subito per Berlino la sera stessa dell’attentato: dopo averla cercata invano al cellulare, aveva parlato con il giovane che aveva trovato il suo telefono al mercatino di Natale e lo stava portando alla polizia.
Allertata la Farnesina, hanno subito ricevuto l’aiuto delle autorità italiane. “Disponibili per qualunque cosa, con gli amici di Fabrizia ci hanno assistito continuamente, anche perché non parliamo il tedesco. Abbiamo sentito lo Stato con noi”, dice al Corriere la donna.
Paolo Gentiloni in visita a Sulmona dalla famiglia di Fabrizia Di Lorenzo
In Germania però hanno trovato un muro. Nessun sostegno psicologico nei tre giorni trascorsi dal loro arrivo alla conferma della morte di Fabrizia, neanche un interprete. “Ci hanno lasciato con le altre famiglie nell’angoscia, nella vana speranza di poterla ritrovare ferita, ma almeno viva”, racconta. L’unico contatto è stato quello con la poliziotta venuta a farle il prelievo del Dna: per il resto non c’è stato alcun supporto.
Per di più, solo l’intervento delle autorità italiane ha permesso di far rientrare la bara per il funerale di Fabrizia a Sulmona: alle esequie di Stato c’è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e qualche giorno dopo, il premier Paolo Gentiloni si è recato dalla famiglia per una visita privata.
La famiglia di Fabrizia non è stata la sola a essere trattata con sufficienza dai tedeschi: i familiari di tutte le vittime della strage sono state ricevute dall’allora presidente della Repubblica, Joachim Gauck. “Gli è stato detto che ciò che aveva amareggiato era stata la mancanza di sensibilità e umanità ma anche che la Germania si era dimostrata inefficiente e incapace, a dispetto della sua immagine internazionale”, racconta il papà di Fabrizia.
L’ultimo tassello della vicenda passa dal mancato riconoscimento dello status di vittime del terrorismo: chi è morto sotto le ruote del tir guidato da Amri è diventato una vittima di un incidente stradale per via di una legge tedesca del 1985 che esclude i danni causati alle vittime di crimini violenti commessi “con un veicolo a motore o un rimorchio”.
L’unica ad avere il risarcimento è stata la famiglia dell’autista polacco, picchiato e alla fine freddato con un’arma da fuoco. Le famiglie delle vittime chiedono di cambiare la legge e di riconoscere le morti dei loro cari per quello che sono, cioè vittime di un attentato terroristico. La Germania deve assumersi la responsabilità di quello che è successo, insiste mamma Giovanna: sapevano che ci sarebbe stato un attentato, conoscevano Anis Amri come soggetto pericoloso e non hanno messo in sicurezza un obiettivo sensibile come era il mercatino di Natale.
Non è una questione di soldi ma di giustizia, ripetono i familiari di Fabrizia. Neanche la notizia dell’uccisione di Amri a Milano li ha toccati perché nulla potrà ridargli indietro la loro amata figlia e sorella. L’ultima cosa che vogliono però è “essere presi in giro da chi non vuole riconoscere di aver sbagliato”.
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