La Polizia si dota di un nuovo strumento contro le fake news. Si chiama “Red Button“, bottone rosso, ed è stato presentato a Roma al Polo tuscolano della Polizia di Stato alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti, del capo della Polizia Franco Gabrielli e del direttore delle specialità della Polizia di Stato Roberto Sgalla. Si tratta di una interfaccia sul sito della PS online con il quale gli utenti potranno segnalare le bufale sul web, entrando in diretto contatto con lo staff della polizia. Come si legge sul sito della Polizia, una volta attivata la procedura ci sarà un filo diretto attraverso il quale si potranno avere informazioni su querele e indicazioni per i social network. “In particolare, verrà presa in carico da un team dedicato di esperti del Cnaipic (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche) che, in tempo reale, 24 ore su 24, effettuerà approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici”, specifica la nota.
Una volta iniziati i controlli, la Polizia sarà in “contatto diretto con i gestori delle piattaforme virtuali” in modo da procedere, se è il caso, all’oscuramento della fake news o alle rettifiche. Scopo del progetto è “l’interesse del singolo ma anche dell’intera comunità che usa i social, la diffusione di notizie false, ingiuriose o diffamatorie o che addirittura possono destare allarme sociale”, conclude la Polizia.
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Molti utenti sembrano gradire l’iniziativa ma altrettanti hanno espresso i loro dubbi per quello che sembra una censura operata dalla Polizia. Stiamo parlando di un argomento in bilico sul filo molto delicato su cui poggia la libertà di espressione, in particolare sul web. Il dibattito è molto sentito nella comunità degli operatori della comunicazione, a partire dai giornalisti, o almeno dovrebbe esserlo.
Dopo aver considerato il web di seconda, se non terza classe per anni, i media italiani hanno iniziato a guardarlo prima con sufficienza e poi con sospetto, spesso senza approfondire le possibilità immense del mezzo e limitandosi a una corsa sfrenata al click.
Così, le bufale e i titoli urlati hanno iniziato a girare anche grazie all’assenza dei “cani del potere”, cioè la stampa, trovando terreno fertile in una popolazione non educata al linguaggio informatico e che si avvicina al mondo dei social senza conoscerne le regole.
Oggi i media si stanno dotando di strumenti contro le fake news, a partire dal cosiddetto fact checking – che altro non è che il classico controllo che sta alla base di ogni lavoro giornalistico – ma il fenomeno delle bufale è ormai esploso ed è difficile controllarlo.
La colpa, se così vogliamo dire, è anche dei content provider, cioè di tutti i big di internet che si pongono davanti al problema solo come “contenitore di contenuti”, senza quindi avere la responsabilità di quello che viene pubblicato sulle loro piattaforme.
A essere responsabili dell’invasione delle fake news sono anche gli utenti stessi, insieme alla loro ignoranza e/o pigrizia che li rende facilmente manipolabili. La nostra intelligenza emotiva ci spinge a cercare conferme delle nostre idee e a credere a quello che vediamo sul web, senza alcun controllo o dubbio, perché è più semplice e bello sentirsi dire quello che vogliamo.
Farsi delle domande, approfondire, capire il senso di quello che stiamo leggendo mentre sfogliamo la nostra bacheca di Facebook richiede tempo ed energie mentali che non abbiamo più voglia di utilizzare. Dovremmo essere tutti noi i primi controllori del web, lasciando alla Polizia il compito di indagare ed eventualmente perseguire i presunti colpevoli, non di controllare.
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