Il governo c’è. Veloce e pronto, direbbe la presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni. Anche l’ultima partita della fiducia in Parlamento, infatti, è stata archiviata con un successo, in pratica mancano solo i viceministri e i sottosegretari. Prima di capire come la prima premier donna della storia della Repubblica italiana intende giocare le sue carte con gli alleati, spieghiamo a cosa effettivamente servano gli ultimi pezzi del puzzle dell’esecutivo.
Intanto pare che Silvio Berlusconi abbia perso (anche) la battaglia su Valentino Valentini. L’ex deputato di Forza Italia, non rieletto alle politiche del 25 settembre, è stato materia di discussione per i suoi rapporti con la Russia, ed è proprio a causa di questo che non dovrebbe sedersi alla Farnesina perché, pare, non piaccia né a Meloni, né al titolare degli Esteri, Antonio Tajani.
Nonostante la velocità con cui il nuovo governo è nato, quindi tra consultazioni lampo, incarico accettato senza riserva da Giorgia Meloni, giuramento e insediamento, e poi l’ultimo step della fiducia alla Camera prima e al Senato dopo, si è raccontato spesso di problemi all’interno della coalizione della maggioranza con i mal di pancia prima di Matteo Salvini, leader della Lega, poi di Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia.
Alla prova dei fatti – a parte il piccolo incidente nella votazione del presidente di Palazzo Madama, avvenuta senza i voti dei forzisti ma con l’aiuto di qualche senatore delle opposizioni -, di diatribe tra i tre alleati del centrodestra se ne sono viste pochissime. La partita, però, potrebbe riiniziare con la nomina dei viceministri, che non possono essere più di dieci, e quella dei sottosegretari.
Entrambe le figure sono disciplinate dalla legge 400/1988 all’articolo 10 e dalla legge 300/1999. Per quanto riguarda i primi, non sono altro che sottosegretari ma che hanno la possibilità di partecipare alle riunioni del Consiglio dei ministri se invitati dal(la) presidente, ma non hanno diritto di voto. Come gli altri, sono nominati con decreto del presidente della Repubblica su proposta del capo del governo e in accordo con i ministri referenti, che hanno il compito di aiutare nell’esercizio delle loro funzioni.
Solo successivamente alla loro nomina e al giuramento nelle mani della Costituzione, ricevono delle deleghe. Possono partecipare alle sedute dei due rami del Parlamento, così come alle commissioni parlamentari, possono anche rispondere alle interrogazioni e alle interpellanze, ma, come abbiamo già detto, non sono presenti alle riunioni a Palazzo Chigi.
In generale, un governo con tutti gli annessi e connessi non può avere più di 65 membri, considerato quindi che ci sono 24 ministri più il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, potranno essere nominate altre 40 figure nell’esecutivo guidato dalla prima premier donna della storia della Repubblica italiana. Considerata la riduzione del numero dei parlamentari, e la gran presenza di senatori all’interno della compagine governativa, è probabile, però, che verranno scelti molti meno sottosegretari rispetto ai precedenti esecutivi.
I problemi, si è detto in questi giorni, sono soprattutto dentro Forza Italia, dove ci sarebbe un’ala più governista rappresentata dal ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani, e un’altra più scettica, capitanata dalla capogruppo al Senato degli azzurri, Licia Ronzulli. Nel discorso di ieri a Palazzo Madama per la fiducia, la senatrice ha voluto chiarire che tra lei e Meloni non c’è mai stato alcun problema, anzi: sono tutti impegnati a remare nella stessa direzione.
Anche qua, nonostante le dichiarazioni pubbliche, qualche problema è sorto. Innanzitutto quando si è iniziato a parlare di Valentino Valentini come sottosegretario alla Farnesina. L’ex deputato forzista, non rieletto alle politiche del 25 settembre, infatti, è accusato di avere delle simpatie per Vladimir Putin e per la Russia – è stato per anni il consigliere del Cavaliere per le relazioni estere, e non solo -, motivo per cui si preferisce destinarlo allo Sviluppo economico, ribattezzato in ministero delle Imprese e del Made in Italy.
La partita, a prescindere, prevede che il gruppo forzista abbia due viceministri e 6/7 sottosegretari, la Lega abbia sempre lo stesso numero di viceministri, ma con due/tre sottosegretari in più, un ruolo, poi, spetta a Noi Moderati, e il resto tutto a Fratelli d’Italia, con la presidentessa del Consiglio che potrebbe anche tenersi qualche casella libera per il futuro.
Tornando a FI, oltre al Mise, si punta alla Giustizia e all’Editoria. In pole ci sarebbero, rispettivamente, Francesco Paolo Sisto, avvocato di Berlusconi, e Alberto Barachini. Ma un ruolo di spicco, come viceministro agli Interni, potrebbe essere affidato anche a Paolo Barelli, ex capogruppo alla Camera e molto vicino all’ex presidente del Parlamento europeo. Al Mef si pensa a Sestino Giacomoni, al Sud a Giuseppe Mangialavori e al Pnrr a Matilde Siracusano.
Nel Carroccio, la decisione è più delineata. Edoardo Rixi, che già ha partecipato a un vertice con Salvini, dovrebbe andare alle Infrastrutture, Nicola Molteni potrebbe spuntarla per il Viminale, Claudio Durigon andrà al Lavoro e Lucia Borgonzoni alla Cultura. In lizza, poi, ci sono Federico Freni, Vannia Gava, Giuseppina Castiello e Pasquale Pepe.
Quanto al partito di Meloni, la scelta verrà presa dopo aver incastrato anche le tessere sulle presidenze di Commissione. I nomi che circolano sono quelli di Alessio Butti, responsabile delle Telecomunicazioni di FdI, Giovanbattista Fazzolari, Maurizio Leo, Edmondo Cirielli, Marcello Gemmato e Galeazzo Bignami. La delega ai servizi, tra l’altro, dovrebbe rimanere prerogativa della premier, che al massimo potrebbe cedere al suo sottosegretario, Alfredo Mantovano.
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