L’abbiamo sempre vista, e la vediamo ancora, bella, in forma, forte e raggiante. Ma anche Federica Pellegrini, ex campionessa di nuoto, ha dovuto fare i conti con il suo corpo e i suoi problemi.
A rivelarlo, un’anticipazione della sua autobiografia, dal titolo “Oro”. Il suo soffrire di bulimia e la scoperta del suo dolore da parte della madre.
Federica Pellegrini ed il rapporto con il cibo
Ingozzarsi di cibo fino a vomitare: questa è la bulimia e, nessuno se lo immaginava, anche Federica Pellegrini ha dovuto fare i conti con questo spettro. “Mi ingozzavo di cibo, poi vomitavo tutto. Lo scoprì mia madre” – scrive la stessa campionessa nella sua autobiografia dal titolo “Oro”.
È proprio Federica a raccontarlo, partendo da quelli che sono stati i mondiali di Montreal nel 2005, dove lei stessa era arrivata con il suo miglior tempo stagionale: “Avevo investito tutto su quei Mondiali, dopo un anno schifoso. Volevo l’oro. Solo l’oro mi avrebbe ripagato della fatica, del dolore, dell’angoscia e della solitudine”. Il corpo di Federica non risponde più, è fiacco, come lei stessa descrive.
Non riesce ad esplodere e, per questo, si ferma all’argento. “Tanto ero stata felice per l’argento olimpico di Atene, quanto questo argento mondiale mi brucia. Al giornalista dico: “Questa medaglia è da buttare. Non ho ancora capito perché la finale mi sia venuta così male” – racconta. Da quelle parole, sua madre, che l’ha vista in televisione, capisce che c’è qualcosa che non va e si spaventa.
Sua figlia così, non l’aveva mai vista: era gonfia, irriconoscibile: “Tutti mi attaccano perché ho pianto per un argento mondiale invece di essere felice. Nessuno capisce. Ma come avrebbero potuto se neppure io capivo? Mi dibattevo come un pesce preso all’amo, avrei voluto soltanto scomparire. Invece ero lì, davanti agli occhi di tutti, incapace di gestire lo stress” – racconta.
La bulimia ed il suo spettro
Cosa le era successo? Come lei stessa racconta nella sua autobiografia, da qualche mese si era trasferita a Milano: “Ero capace di far fuori chili di gelato seguiti da svariate tazze di cereali una dietro l’altra. Una volta mia mamma era venuta a trovarmi e se n’era accorta. Le avevo detto ho fame, facciamo merenda? E avevo divorato due buste di prosciutto crudo e tre pacchetti di cracker. Lei mi aveva guardato perplessa” – scrive Federica.
Ma il suo corpo stava dando segnali. Infatti, dopo aver mangiato l’impossibile, la sera, puntualmente, vomitava: “Vomitare era un po’ come ripulirsi la coscienza e anche la mia maniera di metabolizzare il dolore. Si chiama bulimia ma io non lo sapevo. La bulimia per me non era il problema, era la soluzione” – racconta con dolore.
Da un lato c’era quella voglia di andare avanti così, chissà per quanto, poiché altra soluzione all’orizzonte non si vedeva. Dall’altra, però, c’era la consapevolezza che, alla fine, qualcuno se ne sarebbe accorto e l’avrebbe fermata. Fino a quando non le arriva una telefonata particolare di un fotografo che, a lei come anche ad altri atleti, li avrebbe ritratti come animali fuori dal loro habitat naturale.
La fatica, la paura di quelle foto, ma soprattutto della loro presentazione al pubblico. Federica non era sola, c’erano anche altri atleti. Basti pensare che c’era Fiona May come una pantera e, di lei, riuscivi a vedere i suoi muscoli, quelli di un’atleta vera. “Cosa c’era di sbagliato in me? Perché davo agli altri un’immagine così diversa da quella che ero?” – pensava la giovanissima 17enne – “Eppure avevo sempre avuto un rapporto sano con il cibo […] Negli ultimi anni della mia carriera agonistica, quando non mangiavo abbastanza, un bicchiere di vino mi aiutava addirittura a sbloccare lo stomaco. Nelle fasi di carico di allenamento pesante ero talmente stanca che non avevo fame, ma dovevo mangiare per recuperare”.
Se da un lato, può sembrare normale per un atleta tutto questo, per la giovane 17enne (all’epoca) non lo era per niente: “Dismorfia. È la malattia per cui non riesci a vederti come sei davvero. Lo specchio riflette l’immagine prodotta dal tuo inconscio, dalle tue ossessioni” – conclude la Pellegrini.