Uccise solo perché donne da mariti, compagni e conviventi: il femminicidio in Italia è una strage silenziosa che continua a mietere vittime quasi ogni giorno. In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, che cade ogni 25 novembre, scorrere i freddi numeri è come gettare un secchio d’acqua gelida sul viso di chi crede che il problema sia risolto. Le donne sono a lungo vittime di una violenza silenziosa, che avviene troppo spesso tra le mura domestiche e che sfocia in un ultimo, terribile atto. L’iter è quasi sempre lo stesso: litigi continui conditi da botte, persecuzione e stalking a ogni ora del giorno e della notte che degenerano ogni volta sempre più, arrivando fino alla morte.
Così accade nella grande maggioranza dei casi: uomini violenti e brutali che massacrano di botte moglie e compagne, tornano a piede libero in qualche ora e continuano a vessare le loro vittime, arrivando fino a ucciderle. Una spirale di violenza che la legge contro il femminicidio, approvata lo scorso ottobre, sta cercando di fermare, con qualche piccolo risultato positivo. Poi però, ci sono momenti in cui la speranza che qualcosa migliori sembra svanire. La vicenda di Chiara Insidioso Monda, massacrata di botte dal fidanzato Maurizio Falcioni fino a renderla un vegetale, ha scosso le poche certezze che stavamo costruendo. L’uomo, condannato in primo grado a 20 anni, ha ottenuto uno sconto di pena.
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I dati sul femminicidio in Italia
Sono 152 i femminicidi avvenuti in Italia nel 2014. A dirlo è il Terzo Rapporto Eures sul Femminicidio in Italia: numeri che indicano come la morte per mano di compagni, ex mariti e fidanzati siano ancora una tremenda realtà nel nostro Paese. Di queste, 117 sono infatti avvenute in ambito familiare: nel 94% l’omicida è un uomo e nel 77% è un familiare. Rispetto al 2013, c’è stato un calo del 15,1% a livello complessivo, ma in alcune Regioni le morte di donne per mano di uomini violenti sono aumentati. Al Nord, il dato rivela una crescita dell’8,3% (da 60 a 65 vittime), mentre al Sud è diminuito del 42,7% (da 75 a 43), stabile il Centro (44 vittime). La Lombardia detiene il triste primato della Regione dove avvengono più femminicidi: 30 vittime nel 2014 con un aumento del 58% (19 le morti nel 2013).
Che sia la famiglia il luogo nero dove avvengono i femminicidi, viene confermato anche da questo rapporto. Gli omicidi di coppia, cioè compiuti da partner o ex: 81 vittime nel 2014, il 69,2% dei 117 femminicidi familiari. A uccidere più spesso è il coniuge o convivente (48,il 59,3% i), seguito da ex coniugi/ex partner (16 vittime, 19,8%) e partner non conviventi (6 vittime, 7,4%).
L’identikit del violento
Le donne subiscono violenza anche in altri terribili modi. Botte, aggressioni e persecuzione, come nel caso degli stalker. In occasione del primo anno della nuova legge sulla violenza sulle donne, lo scorso agosto il Viminale diffuse i dati sulle denunce registrate nei cinque anni dall’approvazione sulla legge contro gli stalker, riuscendo a tracciare l’identikit: uomo, circa 40 anni, quasi sempre italiano, spesso con basso reddito.
Di contro, si era registrato anche il numero degli allontanamenti (189) e ammonimenti (271) fatti dai questori, come chiede la legge. Le armi per lottare contro questa strage silenziosa sembrano funzionare, ma va ancora costruita la più forte e duratura: l’educazione.
Sì, perché è dall’educazione al rispetto delle diversità tra generi che passa la lotta alla violenza e al femminicidio. Gli uomini uccidono le donne perché donne e quindi soggetti deboli per una cultura che è impregnata di maschilismo. La violenza è la reazione di chi non ha altre armi per imporre il dominio su un’altra persona: si uccide perché la coppia viene intesa come un rapporto di potere e l’uomo non accetta di perdere il controllo e il dominio. I violenti trovano diversi modi per fare del male, arrivando anche a colpire i figli in una sorta di vendetta per interposta persona.
Per questo, l’opera di prevenzione è fondamentale e passa anche da un sistema giudiziario che sia in grado di fermare sul nascere il ripetersi delle violenze. Come mai il 42enne era a piede libero se già con precedenti? Perché le maglie della giustizia sono ancora troppo larghe. È però soprattutto un problema culturale: come possiamo pensare di fermare questa strage se la Corte di Cassazione ha deciso di concedere le attenuanti a uno stupratore?
La legge contro il femminicidio
La legge contro il femminicidio, approvata dal Parlamento nel 2013, è divisa in 12 articoli e prevede molte novità come il braccialetto elettronico e l’uso delle intercettazioni telefoniche. Il primo si applica anche allo stalker allontanato dalla casa della vittima o a chi è accusato di maltrattamenti, a patto che acconsenta, l’articolo 275 bis del codice penale: questo significa che il giudice può disporre il “controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici” come il braccialetto elettronico. Il secondo estende le intercettazioni telefoniche al reato di stalking, potenziando così gli strumenti dei magistrati per poter intervenire più velocemente in caso di minacce.
Sono poi stati introdotti altri aspetti che rendono il decreto più severo come l’irrevocabilità della querela per stalking in caso di minacce gravi e l’aggravante per i reati di violenza in presenza di minori o donne incinte.
Tra le misure approvate c’è l’aumento di un terzo della pena se alla violenza assiste un minore (violenza assistita), l’arresto obbligatorio in flagranza per delitti di maltrattamento familiare e stalking, e provvedimenti speciali contro il cyber bullismo. La forze dell’ordine possono anche allontanare da casa l’eventuale coniuge violento, se c’è un rischio per l’integrità fisica della donna, e ogni denuncia presentata diventa irrevocabile.
Tra le altre misure ricordiamo che le pene sono da ritenersi inasprire quando il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza. Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking: viene ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti che vengono estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonchè a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici; viene prevista – analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale – l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, che viene, inoltre, incluso tra quelli ad arresto obbligatorio.
Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia: viene assicurata una costante informazione alle parti offese in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali; viene estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità; viene esteso ai delitti di maltrattamenti contro famigliari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza; si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il Pubblico Ministero – su informazione della polizia giudiziaria – possa richiedere al Giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.
Infine, a completare il pacchetto, si è provveduto a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori.
I punti deboli
Come spesso succede occorre però andare ad osservare anche il rovescio della medaglia. Prendiamo ad esempio l’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato previsto dal decreto; sebbene si tratti di un’ottima mossa, resta da capire cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato.
Se da una parte dunque il decreto sembra funzionare correttamente sul fronte repressivo, dall’altro dovrebbe anche andare incontro alle donne prevedendo ad esempio percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione. Detto questo bisogna però tenere in considerazione il fatto che in Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne, al centro delle relazioni di aiuto, sono poche. Complessivamente ci sono 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee e i centri antiviolenza continuano ad essere scarsamente finanziati e molti sono sempre a rischio di chiusura.
A questo si potrebbero aggiungere tante altre voci: una scarsa informazione e una completa mancata formazione, delle donne in fatto di violenza. Bisognerebbe forse iniziare a rendersi conto la violenza contro le donne non possa essere affrontata come una questione di ordine pubblico o causa di “allarme sociale” ma debba essere invece considerata come un vero e proprio problema culturale.