Hikikomori, letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku (tirare) e komoru (ritirarsi), è un termine giapponese coniato dallo psichiatra Saito Tamakiusato, negli anni novanta, per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha incominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa.
L’Hikikomori, anche detto social withdrawal, porta i soggetti ad una reclusione volontaria nella propria abitazione e a sostituire l’interazione sociale tradizionale con quella virtuale. Infatti, si presenta un esasperato uso delle nuove tecnologie: social, videogames e serie tv. Però, questa condizione viene spesso confusa con altre forme patologiche di depressione e in queste pratiche, spesso erroneamente, se ne rintracciano le cause e non le conseguenze.
I soggetti che soffrono di questa singolare condizione hanno spesso un background particolare, che gli ha impedito di sviluppare un corretto pattern di socializzazione e hanno sviluppato una conseguente fobia verso l’altro. Questi particolari attributi psico-sociali si reificano in determinate personalità. Infatti, in questa categoria si annoverano i seguenti soggetti: per lo più giovani maschi, dai 14 ai 30 anni, anche se c’è una crescente presenza femminile; tendenzialmente individui di alta estrazione sociale; nel 90% dei casi si tratta di figli unici.
Le cause riscontrate sono di diversa natura, sia sociale che psicologica: come, un debole modello di socializzazione, che non è stato sviluppato adeguatamente in eta infantile; una perdita di motivazione verso qualsiasi campo dell’esistenza; un ansia esasperata per l’auto-realizzazione, indotta da una incapacità di gestire la pressione sociale; anche un instabile struttura familiare può generare questo fenomeno, come l’assenza della figura paterna o un iperprotettività materna; infine, in ambito scolastico, eventi di bullismo possono degenerare nell’Hikikomori.
Parafrasando Aristotele, l’uomo è un animale politico (politikòn zôon), ciò comporta un indole propensa verso l’aggregazione con i propri simili. Infatti, l’uomo isolato perde il suo principale connotato che lo differenzia e lo eleva, quello culturale. Perduto questo aspetto umano, l’individuo tende a modificare il proprio habitus mentale attuando differenti forme di socializzazione. Di fatto, il ritiro dalla società porta il soggetto a compensare tale carenza con una forma alternativa di interazione, virtuale in questo caso. Non è un caso che l’Hikikomori si sia sviluppato nell’era digitale, proprio perché il soggetto ha la possibilità di rifugiarsi nell’etere informatico. La situazione è ancora in fase embrionale, anche se in espansione, nell’emisfero occidentale ed è anche per tale motivo l’informazione scarseggia riguardo a ciò. Ma fortunatamente, se ne parla sempre con più frequenza, dando la possibilità di affrontare il problema in maniera propositiva. Ne è un esempio il progetto “Hikikomori” promosso dalla Caritas di Roma in partnership con l’associazione Hikikomori Italia. Si tratta di un’iniziativa che partirà il 1 dicembre e che prevede una serie di incontri volti a sensibilizzare sul fenomeno degli Hikikomori nelle parrocchie della diocesi e nelle scuole romane coinvolte nel progetto.
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