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Festa dell’Europa, perché rischiamo di non aver più nulla da festeggiare

Il 9 maggio dovrebbe essere una festa importante per tutti gli europei. In quel giorno si celebra la Festa dell’Europa, o Europe Day, per dirla all’inglese: nello specifico, si celebra la pace e l’unità del Vecchio Continente in memoria della storica dichiarazione di Robert Schuman tenuta a Parigi nel 1950 con il quale l’allora ministro degli Esteri francese gettò le basi per la costruzione di un’Europa unita. “L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“, è il passaggio forse più importante del discorso. Dalla CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) sarebbe nata l’UE, quella in cui viviamo oggi. Quello che 66 anni fa era un sogno è diventato realtà ma non è detto che duri: vista l’attuale situazione, da qui a qualche anno rischiamo di non aver più nulla da festeggiare.

La solidarietà di cui parlava Schuman non è a rischio: probabilmente non c’è mai stata, soprattutto negli ultimi anni. Come ormai tutti i commentatori e gli esperti di geopolitica ammettono, l’UE ha bisogno di essere qualcosa di più che una semplice unione economica e monetaria.

Il caso Grecia è emblematico. Nel giorno in cui si celebra l’Europe Day, in Grecia tornano le proteste per l’ennesimo pacchetto di misure economiche, necessarie per avere gli aiuti dai creditori internazionali. Se gli errori della classe politica greca sono innegabili, la crisi ellenica è frutto anche della miopia europea che ha lasciato un paese in ginocchio in nome dell’austerità e del rispetto delle rigide regole europee.

La questione immigrazione è l’altra enorme spina nel fianco. Finché gli immigrati arrivavano sulle coste italiane e greche, l’UE ha sempre voltato la faccia dall’altra parte. Quando i morti nel Mediterraneo sono diventati troppi anche per le anemiche coscienze dei burocrati europei, si sono fatti proclami e aperture ma solo sulla carta. Con l’aggravarsi delle crisi estere (Siria in primis) e l’avvento dell’Isis sulla scena internazionale, l’ondata di profughi è diventata inarrestabile. Cosa ha fatto l’Unione Europea? Nulla.

Ha speso mesi per discutere di quote migranti, di hot spot, di aiuti ai paesi poveri o in guerra per poi arrivare a costruire muri ovunque e a mettere in discussione uno dei suoi stessi pilastri, il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dei confini europei.

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Davanti a un problema, l’UE si è chiusa a riccio. Paesi del Nord e dell’Est europa hanno soffiato sul populismo per aver più voti e usare la paura (e il razzismo) per chiudere i confini ai migranti e alla solidarietà. Sono spuntati muri ovunque, lungo la rotta balcanica come al Brennero. Invece di studiare una strategia comune, l’Europa ha ceduto al facile richiamo del nazionalismo, dimenticandosi tutti i sogni di solidarietà e unione.

L’avanzate delle destre populiste mina le fondamenta dell’Europa sognata da Schuman e la purezza dell’identità nazionale torna a essere il modello culturale di riferimento in un mondo che, al di là dei proclami politici, va nella direzione opposta.

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Senza contare che il 23 giugno la Gran Bretagna voterà il referendum sulla Brexit, cioè sull’uscita dall’Unione Europea. Tutto questo in un momento dove l’unione dovrebbe essere la vera forza, il baluardo da contrapporre al terrorismo che minaccia la sicurezza di tutti i paesi europei. Invece, le polizie europee non collaborano neppure tra loro, lasciando terroristi pericolosi liberi di girare da uno stato all’altro.

L’Europa unita doveva essere un grandioso progetto di modernità ma davanti agli interessi politici ed economici rischia di franare e sgretolarsi in un nulla di fatto. Di questo passo, tra qualche anno sarà inutile celebrare l’Europe Day.

Lorena Cacace

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