Teresa Spanò, maestra elementare di cinquantacinque anni, è stata uccisa dalla figlia diciassettenne questa mattina intorno alle 8 a Bagheria, in provincia di Palermo.
A dare l’allarme era stata proprio la giovane che, inizialmente, aveva paventato ai soccorritori uno scenario di tipo suicidario. La sua ricostruzione, però, non ha retto durante l’interrogatorio dinanzi alla dottoressa Claudia Caramanna, procuratrice per i minori di Palermo.
La ragazzina, che ha confessato di aver strangolato la madre, si trova in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario. Secondo quanto emerso fra madre e figlia da tempo vi erano conflitti irrisolti.
Ma che cosa induce un adolescente ad uccidere un genitore? E che cosa si nasconde dietro i matricidi?
Adolescenti sanguinari
Sono sempre di più gli adolescenti incubatori di violenza. Ed in effetti, nella nostra società, i rapporti con le figure di riferimento diventano sempre più labili, ambivalenti e traboccanti di tensioni.
Come se, ad un certo punto, saltassero tutti i meccanismi di controllo della coscienza. Si tratta di comportamenti esasperati che, come tali, difficilmente sono prevedibili. Rancori, frustrazioni, odio e rabbia che, covati per lunghi periodi senza essere adeguatamente affrontati, sfociano inesorabilmente in azioni delittuose imprevedibili. Nello specifico, l’apparente normalità quotidiana cela un territorio e un ambiente inquinato da emozioni talmente pregnanti da spingere il giovane ad agire fuori controllo. Un comportamento freddo e distaccato non soltanto durante la fase omicidiaria, ma anche – e forse soprattutto – nella gestione della fase successiva al delitto.
Nella quasi totalità dei casi, invero, dietro queste stragi adolescenziali ci sono futili motivi, spesso di tipo economico. Tutti elementi che aprono un’ulteriore finestra di riflessione ampia e significativa.
Quando la vittima è la madre: i matricidi
Cosa spinge un adolescente a togliere la vita a chi gliel’ha donata? Sicuramente la visione della madre come un genitore castrante. Dunque, tramite l’uccisione, il figlio, o la figlia, cerca disperatamente di divincolarsi dal legame simbiotico con l’obiettivo di impossessarsi di una nuova autonomia e identità. Ciò perché, frequentemente, in famiglia, lo scambio emotivo diviene inesistente. In questo senso, difficilmente si ha a che fare con un impeto di rabbia. Al contrario, i giovani danno sfogo a sentimenti e condizioni maturate nel tempo, ma mai appianate.
Gli adolescenti si sentono impossibilitati ad esprimersi e per questo le emozioni represse irrompono in un istante. Istante che diviene poi letale. Veri e propri baby killer che adoperano un’esponenziale quota di violenza. Nettamente superiore a quella necessaria a perpetrare l’omicidio.
Pertanto, una volta uccisa la figura genitoriale di riferimento, l’illusione del giovane assassino è quella di vivere una vita diversa. Fondata su un’ottica distorta di libertà.