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Finale di Coppa Italia 2014: così abbiamo legittimato i cori razzisti contro i napoletani

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Ci sono articoli che non vorresti mai scrivere, ma se non lo facessi diventeresti fazioso. Non di parte, ma fazioso. Essere di parte, infatti, è spesso un dovere: quello di prendere una posizione e spiegare perché si è scelta proprio quella posizione piuttosto che un’altra. Essere fazioso vuol dire, invece, tacere quelle verità che potrebbero diventare scomode per la propria posizione. Proprio per scongiurare il rischio di diventare fazioso devo dire che, allo Stadio Olimpico di Roma, abbiamo dato l’opportunità di giustificare i cori razzisti che, ahimè, troppo spesso vengono cantati durante le partite di calcio (non solo quelle in cui gioca il Napoli) contro la tifoseria partenopea.

Se è vero che i cori, anche quelli offensivi e denigratori, sono un’abitudine delle curve, non è giusto liquidare il fenomeno avvenuto soprattutto durante l’ultimo campionato con un banale “si è sempre fatto” o, ancora peggio, “si fa per ridere, per scherzare”.

Io non rido se tante, troppe volte viene augurata a me, ai mei figli, ai miei amici e ai miei concittadini la morte per mano del Vesuvio o del colera. Non rido se ancora oggi vengo denigrato e deriso perché nel 1980 rimasi vittima di un terremoto o perché da anni devo fronteggiare una grave e pericoloso emergenza rifiuti, causata in gran parte da quelle persone che ora mi cantano contro. Non riderei nemmeno se quei cori fossero stati indirizzati ai milanisti, ai romanisti ai fiorenti e nemmeno ai tifosi del Manchester United o dei Barcellona. E non rideva nemmeno la Lega Calcio che quest’anno, più che negli altri anni, ha giustamente deciso di adottare il pugno di ferro contro i cori e le discriminazioni raziali.

Il comportamento assunto e mantenuto dalla tifoseria napoletana ha però legittimato tutto questo. La violenza messa in atto allo stadio Olimpico durante la finale di Coppa Italia 2014 ha, infatti, posto i tifosi napoletani in un’indubbia posizione di torto, arrogandosi il diritto di stabilire se una partita di calcio vada o meno giocata.

La storica rivalità con i tifosi romanisti aveva provocato l’agguato fuori dalla porte dell’Olimpico, in cui è rimasto ferito un tifoso che ora combatte fra la vita e la morte in ospedale, e questo è servito come pretesto per scatenare i propri aspetti più animaleschi.

Perfino l’inno d’Italia è diventato il momento per creare contestazione fine a se stessa e danneggiare così l’immagine di una città e del suo popolo. Un discorso è, infatti, analizzare e ciritcare una disparità di trattamento fra le regioni settentrionali e quelle meridionali da parte dello Stato centrale e quindi rivendicare, eventualmente anche tramite un dura e categoria presa di posizione, una maggiore equità sociale ed economica all’interno nel Paese, un’altro discorso (stupido) è ingiuriare uno dei simboli del nostra unità nazionale.

Guardando quella follia mi sono vergognato. Non certo di essere napoletano (se non di nascita, quantomeno di origini e tradizioni), ma che quelli fossero napoletani come me. Ma soprattutto ho visto mandare a rotoli tutti gli sforzi di molti napoletani e non perché né allo stadio, né in qualsiasi altro posto si possa parlare o rivolgersi ai napoletani in modo offensivo, denigratorio e razzista.

Noon da meno e non migliori sono di certo stati i romanisti, ma ai “miei” napoletani dico che prima di prendercela, giustamente, con chi ci denigra, ci offende o ci ingiuria dobbiamo prendercela con chi dei nostri concittadini concede ai razzisti dei motivi di appiglio per credere di avere ragione.

Devo dire che mi sono vergognato anche di quell’Italia dove il capo di una curva (e già sarebbe da chiedersi perché un gruppo di tifosi debba avere “un capo”) [LEGGI QUI chi è Genny ‘a Carogna] ha assunto un potere superiore a quello dei dirigenti dello Stato e delle Forze dell’Ordine, nonostante indossasse perfino una maglietta inneggiante l’uomo che ha ammazzato un ispettore di Polizia. Anche se ora la Questura di Roma nega ci sia stata trattativa fra i poliziotti e gli ultras, nonostante la stessa sia avvenuta in diretta televisiva.

Allora, cari napoletani, avremo pure vinto la Coppa Italia, ma abbiamo perso la faccia e rischiamo di perderla del tutto se non condanneremo con convinzione quanto commesso dai tifosi del Napoli e se non faremo in modo, anche escludendo quelle “persone” dalla società civile, che ciò non riaccada.

Fabrizio Capecelatro

Fabrizio Capecelatro è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di politica e cronaca, con particolare riguardo a tematiche incentrate su criminalità organizzata e camorra. Su temi di attualità e di cronaca criminale ha scritto anche su Pourfemme.

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