La violenza dell’Isis non conosce confini: se venisse confermato, anche la morte del cooperante italiano Cesare Tavella sarebbe da ascrivere ai terroristi di Abu Bakr al Baghdadi. Uno degli aspetti più controversi riguarda i finanziamenti dell’Isis: dove prendono i soldi i jihadisti per continuare la loro guerra all’Occidente? Per fermare il terrorismo bisogna agire a fondo e colpire le risorse economiche, altrimenti ogni azioni militare rischia di fallire. Bombardare gli obiettivi strategici può e deve essere il primo passo, ma per debellare il terrorismo si dovrebbero tagliare i cordoni delle borse e rendere così sempre più difficile la loro azione militare. Cerchiamo di capire da dove arrivano i finanziamenti all’Isis.
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Il primo aspetto da tenere presente è che tutto quello che riguarda il finanziamento al terrorismo non ha numeri precisi. Nonostante si sia dichiarato uno Stato, l’Isis non lo è e non ha quindi un bilancio o conti certificati a cui fare riferimento. Quello che sappiamo arriva da operazioni di intelligence, da studi di esperti e anche da alcuni “pentiti” che hanno fatto ritorno in Occidente dopo essere partiti per la jihad. I dati raccolti parlano di due tronconi principali: l’autofinanziamento e il finanziamento occulto.
Il petrolio
Gli uomini di al Baghdadi hanno trovato il modo per autofinanziarsi, usando i canali del contrabbando e dell’economia illegale. La prima voce è riservata al petrolio. L’Isis ha conquistato parte dell’Iraq e ha preso il controllo di zone ricche di greggio che vende sul mercato nero. Nonostante il prezzo del petrolio sia in discesa e abbia raggiunto minimi storici, l’oro nero continua a essere richiesto in tutto il mondo e il contrabbando ha aperto nuovi canali di distribuzione, con prezzi che vengono fissati dai venditori (cioè dai jihadisti). Dove va a finire il petrolio venduto sul mercato nero? Nei Paesi vicini che non hanno risorse energetiche proprie come la Turchia, ma anche in nazioni lontane, dove la richiesta di energia continua a crescere con l’aumentare della ricchezza.
Il cotone
Altra voce riguarda il cotone. Secondo lo studio firmato da Anne-Laure Linget Riau, esperta in approvvigionamenti internazionali nel settore del tessile e dell’abbigliamento e riportato dai media francesi, l’Isis avrebbe incassato circa 150 milioni di dollari dalla vendita del cotone siriano. I terroristi controllano il Nord del Paese, dove si concentrano i campi; ne hanno in mano circa il 90% e riescono così a vendere il cotone in Turchia ma anche in Europa, Italia compresa. Damasco è sempre stata una grande produttrice di cotone, ma le sanzioni internazionali contro Bashar al Assad hanno colpito le esportazioni, aprendo di fatto la strada ai miliziani dell’Isis.
Tasse, banche e rapimenti
Terzo punto è quello dei rapimenti. Abbiamo conosciuto l’orrore delle decapitazioni degli ostaggi, ma quello che non si vede è il “mercato nero dei riscatti”. La stragrande maggioranza dei rapimenti avviene per estorcere denaro ai parenti, tramite vere e proprie aste in cui si contratta la liberazione degli ostaggi dietro pagamento di somme consistenti.
Infine, si conta la riscossione delle tasse che i miliziani impongono nei territori conquistati: oltre alla violenza e al terrore, i jihadisti impongono alla popolazione locale anche il versamento di tributi per ogni azione quotidiana. Una volta conquistati villaggi e città, i terroristi si insediano anche nelle banche, gestendo i soldi della popolazione per i propri interessi.
Finanziamenti occulti
Secondo quanto dichiarato dal ministro Paolo Gentiloni nell’audizione alle Camere lo scorso aprile, l’Isis potrebbe contare su circa 1 miliardo di dollari, di cui “due terzi provenienti da banche locali di cui hanno acquisito il controllo e l’altro terzo da forme di contrabbando, come quella del petrolio“. La cifra sembra molto alta ma non è sufficiente per sostenere tutte le spese, dall’acquisto di armi agli stipendi dei miliziani. Ci sono quindi finanziamenti che arrivano dall’estero, persone che sostengono l’Isis per i motivi più disparati, a partire dalla guerra tra sunniti e sciiti che divide da anni il Medio Oriente. Anche se nessuna nazione li appoggia direttamente, da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait partono flussi di denaro da parte di privati cittadini che aiutano le milizie di al Baghadi per contrapporsi all’Iran, roccaforte degli sciiti.