Il tema del finanziamento ai partiti e alle fondazioni torna a far discutere. Pochi giorni fa gli investigatori della Guardia di Finanza hanno perquisito le società che hanno finanziato la fondazione Open vicina al leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Secondo l’accusa della Procura, infatti, la fondazione Open svolgeva da anni la funzione di cassaforte per garantire l’ascesa dell’ex premier: prima alla segreteria del Pd, poi a Palazzo Chigi. La stessa fondazione infatti metteva i soldi per la Leopolda, la convention annuale di area renziana.
Le operazioni condotte dalle fiamme gialle, sulla base di un rapporto dell’antiriciclaggio di Banca d’Italia, hanno portato gli inquirenti negli uffici di molte importanti società quali il gruppo titolare di concessioni autostradali, l’armatore Onorato, la British American Tobacco e molte altre. Al momento tali soggetti non sono indagati ma gli inquirenti vogliono “accertare quali siano i rapporti instauratisi tra la fondazione e i soggetti finanziatori”, per scongiurare l’ipotesi, portata avanti dall’accusa, che le donazioni oggetto delle indagini siano state elargite in cambio di provvedimenti normativi favorevoli o che nascondano dinamiche di finanziamento illecito a partiti e personalità politiche.
La difesa di Renzi
Il diretto interessato si è difeso provando a chiarire la situazione. Qualche giorno fa, durante la sua ospitata a Circo Massimo, su Radio Capital, Matteo Renzi si è dapprima lamentato di essere “oggetto di attenzioni speciali” di certi magistrati, rilanciando poi lo scontro con la procura di Firenze (già titolare di altre inchieste infruttuose verso l’ex premier), accusata di “invasione del campo della politica”. In un successivo intervento, il leader di Italia Viva ha chiarito quale fosse a suo parere la pietra dello scandalo: “Perché due magistrati possono “trasformare” una fondazione in un partito solo allo scopo di indagare per finanziamento illecito ai partiti? E soprattutto: in democrazia chi decide che cosa è partito e cosa no? Un magistrato? Ma stiamo scherzando? Siamo o non siamo un Paese in cui vige la separazione dei poteri?” aggiungendo in chiusura poi che “dire di aver fondato Open come partito diventa una giustificazione per indagare alcuni e perquisire tutti. Attenzione: nessun equivoco. Io non sto attaccando l’indipendenza della magistratura, ma sto difendendo l’indipendenza della politica”.
Come funziona il finanziamento ai partiti in Italia
L’attenzione al sistema dei finanziamenti ai partiti ed alle fondazioni, in Italia, non è nuova; negli scorsi mesi più volte le inchieste giornalistiche sono andate a fondo sui finanziamenti elargiti ai principali partiti politici ed alle fondazioni così come alle aziende contigue ad essi. I vecchi rimborsi elettorali, infatti, erano un bottino da quasi 180 milioni di euro all’anno (ridotto del 50% durante il governo Monti) che venivano erogati automaticamente in base ai voti ricevuti dalla lista nelle elezioni. E se è vero che il sistema del finanziamento pubblico dei partiti è stato eliminato progressivamente nel tempo, è pur vero che tale sistema è stato poi sostituito da meccanismi diversi, rimessi alla scelta volontaria del contribuente in sede di dichiarazione dei redditi (il 2×1000) o all’incentivo fiscale delle donazioni private verso i partiti con la detrazione del 26% sulle erogazioni liberali. La conseguenza però è stata un vertiginoso calo delle entrate complessive dei partiti, ridotte di oltre il 60% in appena 5 anni, un cambiamento traumatico negli esercizi di bilancio che, paragonandolo ad altre realtà, avrebbe mandato gambe all’aria qualsiasi azienda.
Come si va avanti senza finanziamento pubblico?
Per sovvenzionare l’attività politica si è ricorso quindi sempre di più all’utilizzo di associazioni e fondazioni vicine che, fino all’entrata in vigore della legge “spazzacorrotti” promossa dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, avevano obblighi di rendicontazione e trasparenza più blandi. Oppure si è ricorso al sistema dei contributi ai gruppi parlamentari – utilizzato per le attività istituzionali, come anche per il loro funzionamento -, calcolati in base alla sua composizione ovvero più un gruppo parlamentare è grande e più soldi riceverà. Scegliendo di prediligere un sistema di finanziamento retto principalmente dall’intervento dei privati, tale approccio mal si sposa con il sospetto che le aziende o i privati che finanziano un partito o una fondazione vicina ad un movimento politico possano farlo per trarre beneficio dalle politiche dell’esecutivo finanziato. Inoltre è importante segnalare che, nonostante il pensiero comune porti a pensare che con la parziale abolizione del finanziamento pubblico ai partiti sia aumentato quello privato, anche tale assunto non è dimostrato: osservando i dati forniti da openpolis si può notare infatti che, negli stessi anni della riforma al finanziamento pubblico, le donazioni da privati sono diminuite anch’esse del 50%, nonostante uno degli obiettivi dell’intervento legislativo fosse proprio quello di incoraggiarle.
Finanziamento ai partiti, la situazione all’estero
In quasi tutta l’Europa il sistema di finanziamento pubblico alla politica è ancora in piedi. In paesi come come Francia, Germania o Regno Unito è ancora prassi comune ed i partiti politici non sono costretti a rincorrere le donazioni private. All’estero, infatti, si è scelto di agire diversamente affiancando quote pari di finanziamento pubblico alla raccolta privata (ad esempio in Germania), oppure a legare proporzionalmente la quota di finanziamento pubblico al numero degli iscritti (ad esempio in Olanda). Questo porterebbe ad una maggiore attenzione nella rendicontazione dei fondi privati e una maggiore presenza sul territorio per la raccolta di adesioni. Che, alla luce della condizione italiana, non suonerebbe male.