I fatti non sussistono: per questa ragione si conclude oggi, senza il ricorso in Appello, il processo ad ENI e Shell, le compagnie energetiche accusate di corruzione verso il governo della Nigeria.
Sono stati assolti da tutte le accuse i 15 imputati del processo: tra loro varie personalità della politica nigeriana, alcuni dirigenti italiani di ENI (tra cui Descalzi e Scaroni, attuale ed ex a.d. della compagnia) e altrettanti membri di Shell, la multinazionale britannica del petrolio.
Dopo l’assoluzione in primo grado datata 17 marzo 2021, la Procura Generale di Milano blocca il possibile ricorso in Appello per insufficienza di prove a sostegno dell’accusa di corruzione rivolta ad ENI e Shell.
Le due compagnie atte alla scoperta, trattamento e commercializzazione degli idrocarburi erano state poste sotto i riflettori della legge per una presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari fatta pervenire al governo della Nigeria al fine di ottenere in concessione l’appalto per setacciare le riserve della zona petrolifera africana Opl245.
È purtroppo spesso nota la collusione di potenti e potentati africani conniventi con ricche imprese occidentali: i primi si foraggiano dei lauti compensi elargiti loro dall’estero incuranti delle condizioni spesso di miseria dei propri rappresentati; le seconde attingono in modo facile e veloce alle grandi ricchezze naturali e geologiche di cui l’Africa abbonda senza dover legare la loro azione a stringenti standard normativi di tutela ambientale e lavorativa, tutto a vantaggio del profitto e di un prezzo di vendita basso per i concorrenziali e benestanti mercati occidentali.
A quanto pare però per i giudici non è questo il caso: nessuna prova indicherebbe il concretizzarsi di alcuna pratica illegale tra i due gruppi energetici europei e l’esecutivo nigeriano.
Anzi a ribadire l’infondatezza e pregiudizialità dell’idea neocoloniale che supporterebbe l’agire di ENI e Shell è stata la stessa Procuratrice Generale Celestina Gravina.
Per questa le accuse sono distorte dall’ideologia del Pubblico Ministero, il quale ha pregiudizialmente considerato pratiche corruttive di origine neocoloniale gli investimenti e le attività delle due compagnie, le quali invece hanno contribuito in modo fondamentale all’arricchimento della nazione subsahariana nonché al suo sviluppo tecnico-infrastrutturale.
Insomma un processo che per la difesa di ENI non aveva ragion d’essere e che sembra trovare l’appoggio della stessa Procura Generale, la quale ha appunto stoppato l’iter di istituzione del processo d’Appello proprio per la mancanza di elementi a sostegno dell’accusa.
Rimane per ora in piedi solamente l’imputazione per responsabilità civili richiesta dalla stessa parte civile, per il cui seguito si attendono possibili date e sviluppi.
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