Il professor Vittorio Fineschi, luminare della Medicina legale su scala internazionale e consulente della famiglia di Liliana Resinovich, smonta la tesi del suicidio: “Il corpo può essere stato congelato, nessuno ha fatto accertamenti sul cadavere per escluderlo”.
Le parole del medico legale Vittorio Fineschi vanno in direzione opposta all’orizzonte suicidario: per mesi si è detto che il corpo della donna, scomparsa a Trieste il 14 dicembre 2021 e trovata morta in un parco il 5 gennaio successivo, non può essere stato soggetto a congelamento. Nessuno degli esami condotti dagli inquirenti, secondo Fineschi, si sarebbe però focalizzato su questa ipotesi e non sarebbero state condotte analisi per capire, a eventuale conferma o esclusione, se sia stata effettivamente congelata dopo la morte.
Cosa non torna nel giallo di Liliana Resinovich secondo Vittorio Fineschi
Nella consulenza medico legale degli esperti incaricati dalla Procura di Trieste, secondo il professor Fineschi, consulente della famiglia di Liliana Resinovich, ci sarebbero più cose che non tornano che aspetti nitidi.
Alcune conclusioni sarebbero del tutto prive di un “substrato scientifico” per potersi definire esclusi, dice Fineschi, scenari quali il congelamento del corpo e il quadro di una eventuale aggressione ai danni della donna.
“L’epoca della morte – ha dichiarato il professore a Ore 14 – viene definita fondamentalmente sulla base della Tac che viene effettuata 3 giorni dopo il ritrovamento del cadavere. Il dato delle 48-60 ore prima, indicato dal consulente della Procura, non è solido. Anzi, quello che doveva essere fatto, a nostro avviso, non è stato fatto“.
Parole che si abbattono come una scure sull’esito dell’analisi dei consulenti incaricati dalla Procura e che ora, nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dai pm, potrebbero portare a riscrivere tutta la storia.
Non vi è prova, per Fineschi, che Liliana Resinovich si sia tolta la vita: diversi elementi, secondo i consulenti della famiglia, deporrebbero a favore di una morte violenta dovuta all’azione di terzi.
L’ipotesi del congelamento del corpo
Il professor Fineschi sostiene che non siano state effettuate analisi determinanti per l’accertamento dei fatti.
“Il giorno 5 (gennaio 2022, data del ritrovamento del cadavere di Liliana Resinovich, ndr) dovevano essere fatte delle indagini che non sono state fatte. Una molto semplice: la rilevazione della temperatura, che non è stata fatta. L’autopsia viene fatta il giorno 11″.
Il corpo della 63enne, ha ricostruito Fineschi, è stato mantenuto dal giorno 5 al giorno 11 gennaio 2022 “a temperature controllate ma sui 12 gradi, cioè conservato in un ambiente che favorisce lo sviluppo dei fenomeni putrefattivi. Questo ci porta a dire che l’epoca della morte è tutta da interpretare sulla base di pochi dati“.
Secondo quanto dichiarato dal medico legale, consulente dei Resinovich, inoltre, gli esperti incaricati dalla Procura avrebbero preso in considerazione l’ipotesi del congelamento del corpo, o del mantenimento dello stesso a temperature molto basse e costanti, “ma poi escludono questa ipotesi in maniera molto soggettiva senza dare un substrato scientifico“.
C’è un altro passaggio chiave nelle considerazioni di Fineschi: “Non solo non possiamo dire che il corpo non sia stato congelato, ma dovevano essere fatte delle indagini che non sono state assolutamente fatte”.
Tali indagini, di cui vari contributi sono presenti in letteratura, spiega Fineschi, avrebbero permesso di verificare in laboratorio la presenza di segni di congelamento o di alterazioni legate allo stesso.
“Noi abbiamo fatto rivedere da un’esperta di radiologia forense – ha aggiunto Fineschi a Ore 14 – e i risultati che abbiamo maturato ci portano a ulteriormente implementare i dubbi sul fatto che forse il cadavere ha avuto un periodo di soggiorno in ambiente controllato”.
Su questo punto, il medico legale consulente della famiglia di Liliana Resinovich è certo: “Non si può escludere che sia stato congelato o mantenuto lungamente a temperature basse e senza sbalzi termici“.
Insomma, per l’esperto non si può affermare che Liliana Resinovich, dopo il decesso, non sia stata tenuta in una cella frigorifera o in un luogo naturale protetto che possa avere, considerando la localizzazione al Nord Italia, “un riferimento termico molto basso“.
“Il suicidio non è stato dimostrato”
Secondo Fineschi, i consulenti incaricati dalla Procura non avrebbero dimostrato il suicidio e non vi sarebbero evidenze di accertamenti atti a valutare l’eventuale congelamento del cadavere.
Sul volto di Liliana Resinovich, ha dichiarato ancora il professore, ci sarebbero delle “alterazioni microtraumatiche che non sono state valutate“.
Le lesioni rilevate sul viso della donna sarebbero, secondo Fineschi, “contusive e non compatibili con il suicidio“.
Si tratterebbe di un quadro di segni e ferite che non sarebbero stati spiegati compiutamente in sede autoptica e che, per l’esperto incaricato dalla famiglia della vittima, sebbene non potenzialmente causative del decesso possono comunque raccontare un’altra storia ricalcando un’aggressione con esiti quali “lesioni traumatiche atte a incapacitare la persona oppure a renderla ferma e compiere poi l’asfissia mediante sacchetti“.