Nuovo capitolo della vicenda sulle firme false M5S a Palermo con la richiesta della Procura per il rinvio a giudizio per i deputati nazionali M5S Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, oltre ad altre undici persone indagate nell’ambito dell’inchiesta. La Procura ha chiesto il processo anche per i deputati regionali grillini Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, il cancelliere del tribunale e altri attivisti. I reati contestati, a vario titolo, ai 14 indagati sono il falso e la violazione di una legge regionale del 1960 che recepisce il Testo unico nazionale in materia elettorale. Secondo l’accusa del Procuratore aggiunto Dino Petralia e del pm Claudia Ferrari, che coordinano l’inchiesta, nell’aprile del 2012 durante la campagna elettorale per le amministrative di Palermo, furono ricopiate da un gruppo di grillini oltre duemila firme per un errore formale. A 11 indagati i pm contestano anche la falsificazione materiale delle Firme.
Il collegio dei probiviri del M5S aveva a suo tempo già sospeso in via cautelare 3 deputati e un’attivista indagati per il caso delle firme false a Palermo. I parlamentari nazionali Claudia Mannino, Giulia Di Vita, Riccardo Nuti e l’attivista Samantha Busalacchi, collaboratrice del gruppo pentastellato all’Ars, risultano ancora oggi sospesi anche se continuano regolarmente la loro attività alla Camera, come risulta dall’attività regolarmente registrata dall’onorevole Di Vita sul suo profilo Twitter.
Adesso in audizione Vincenzo Manes su fondazione #ItaliaSociale, seguite la diretta qui https://t.co/7jsEEgZFg9 #OpenCamera
— Giulia Di Vita (@GiuliaDiVita) 12 aprile 2017
La notizia della sospensione dei deputati indagati per il caso firme false a Palermo è stata diffusa con un comunicato ufficiale dal blog del movimento: a far scattare la decisione è stato il loro comportamento definito “lesivo” ancor più dopo l’appello del garante ad auto sospendersi. Gli indagati si erano avvalsi della facoltà di non rispondere davanti ai pm e si erano rifiutati di sottoporsi a un test grafologico, “comportamenti non conformi ai principi del movimento“, come si legge nel comunicato. Ulteriori decisioni verrano prese, concludeva la nota, “nella piena cognizione di tutti i fatti rilevanti di cui al presente procedimento, anche all’esito delle valutazioni svolte dall’autorità giudiziaria e nel contraddittorio con gli interessati“.
In un primo momento, i deputati avevano rimandato al mittente la richiesta di auto sospendersi dal movimento, giunta dai vertici nazionali. Chi invece ha deciso di seguire l’appello di Beppe Grillo a parlare fin da subito è stato il deputato dell’assemblea regionale Giorgio Ciaccio che si è auto sospeso appena saputo di essere coinvolto nell’inchiesta sulle firme false. Secondo la ricostruzione di Repubblica, Ciaccio avrebbe anche testimoniato davanti ai pm titolari delle indagini, il procuratore aggiunto Dino Petralia e la pm Claudia Ferrari, confermando le accuse della sua collega alla Regione, Claudia La Rocca, la prima a svelare cosa accadde la notte del 3 aprile 2012 nella sede del meetup palermitano di via Sampolo.
In quell’occasione, secondo le accuse, i militanti avrebbero ricopiato materialmente quasi 1900 firme per rimediare a un errore anagrafico di un candidato nella lista per il comune siciliano. La magistratura ha già acquisito decine di testimonianze di persone che non hanno riconosciuto la loro firma nelle liste consegnate agli uffici comunali.
LEGGI LA RICOSTRUZIONE DEL CASO DELLE FIRME FALSE M5S A PALERMO
Il caso è nato dalla segnalazione di alcuni militanti storici, a partire da Vincenzo Pintagro, e da un doppio servizio del programma di Canale 5 Le Iene che avevano raccolto testimonianze e documenti importanti. Il caso era già stato portato all’attenzione della magistratura e la Digos aveva già svolto indagini, senza giungere a nulla. Le nuove rivelazioni però hanno portato alla riapertura del fascicolo.
La questione è delicata non solo dal punto di vista giudiziario ma soprattutto da quello politico. Si cerca di capire infatti se il caso sia arrivato fino ai massimi vertici: le ricostruzioni della stampa portano fino a Beppe Grillo a cui La Rocca avrebbe telefonato prima di recarsi in Procura. Il M5S nega la telefonata, ma il silenzio dei vertici preoccupa la base. “Chi ha sbagliato pagherà”, ripetono Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio.
Il leader pentastellato aveva prima chiesto massima collaborazione a chi sapeva, per poi cercare di limitare i danni, parlando di una “sciocchezza”, con firme copiate e non false, in ogni caso inutili visto il risultato elettorale del 2012.
Gli inquirenti però hanno chiarito che, anche se nessuno venne eletto in comune in quelle elezioni, molte persone si sarebbero giovate dei falsi, perché chi si era candidato alle comunali, secondo le regole decise dallo stesso Grillo, poteva candidarsi direttamente alle elezioni regionali e politiche, dove alcuni di loro sono riusciti a entrare in Regione e in Parlamento.
I nomi fatti dalla super testimone La Rocca sono di quelli che contano nell’ambiente siciliano pentastellato e non solo: a copiare le firme insieme a lei ci sarebbero stati, fra gli altri, Claudia Mannino, Samantha Busalacchi, Loredana Lupo, mentre il candidato sindaco di Palermo, Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto erano tutti informati di quanto stava succedendo. Tutti, a parte la Busalacchi, sono stati eletti nel Parlamento nazionale. La consapevolezza e l’uso degli atti falsificati, ricorda la Procura, possono giustificare la contestazione del reato.
Immediate le reazioni da parte del PD con Ernesto Carbone che va all’attacco. “Cittadini siciliani che disconoscono le loro firme, quindi Grillo, Di Maio e Di Battista hanno mentito”, dichiara il deputato. “Non sono state firme solo copiate, qui si tratta di firme falsificate. Un reato. Come al solito sapevano ma hanno preferito raccontare una bugia per coprire un fatto gravissimo”.