Il caso delle firme false di Palermo rischia di spaccare il MoVimento 5 Stelle e non solo in Sicilia. La deputata regionale Claudia La Rocca si è infatti presentata spontaneamente dai magistrati e ha confessato tutto, con tanto di nomi e cognomi di chi quella sera del 2012 falsificò le firme. A rischiare una pena che va dai due ai cinque anni non è solo lei, ma una trentina di persone tra attivisti e nomi di spicco dello stesso movimento, a iniziare da Riccardo Nuti, oggi parlamentare alla Camera e allora candidato sindaco nel capoluogo siciliano. Nei giorni scorsi le voci di un super testimone si erano rincorse sulla stampa locale e nazionale; ora la conferma, con tanto di dettagli. La vicenda è grave a livello giudiziario ma lo è ancora di più a quello politico. Le faide interne al movimento siciliano, che ora rischia l’azzeramento in una delle loro roccaforti, potrebbero avere ripercussioni molto pesanti anche a livello nazionale.
Dopo il caso delle spese di Luigi Di Maio, il M5S si trova ad affrontare un caso molto più delicato, con conseguenze che potrebbero ridisegnare il movimento stesso, almeno in Sicilia.
LA CONFESSIONE
L’ultimo atto di questa vicenda è la confessione della deputata all’Ars La Rocca. Accompagnata dal suo legale, la 35enne si è recata dai pm e ha svuotato il sacco, raccontando per filo e per segno cosa successe nel quartiere generale del movimento in occasioni delle elezioni comunali 2012. Momenti di isteria collettiva e una soluzione che sembrava risolutiva anche se illegale: ricopiare le firme raccolte a sostegno della lista per ovviare a un errore nei dati anagrafici di un candidato.
Secondo la ricostruzione de La Stampa, quando il procuratore aggiunto Bernardo Petralia e il sostituto Claudia Ferrari hanno sentito il suo racconto, hanno dovuto fermarla e spiegarle che, da quel momento in poi, sarebbe stata considerata indagata e che, nel caso, si sarebbe potuta avvalere della facoltà di non rispondere. La confessione è andata avanti e La Rocca ha fatto i nomi di chi quella sera era con lei a copiare le firme. Il reato è grave perché si tratta di alterare documenti ufficiali che rendono valide le stesse elezioni e le implicazioni giudiziarie lo sono altrettanto, ma non tutti sembrano pensarla così, a partire da Beppe Grillo.
La Rocca ora è difesa da una parte del movimento che ricorda come sia l’unica ad aver raccolto l’appello del leader: chi sa parli. Il clima di omertà che si era creato intorno alla vicenda è l’esatto opposto della trasparenza predicata dal movimento: rinnegare questo principio sarebbe stato ancora più grave della vicenda in sé che anzi da molti è stata derubricata a sciocchezze. Fu Grillo a lanciare il primo sasso, dichiarando che le firme erano state copiate e non falsificate. “La firma falsa non è una firma falsa, è una firma copiata. È l’Oscar della stupidità. Noi se siamo disonesti non riusciamo neanche ad essere disonesti. Con quelle liste lì non è stato eletto nessuno”, sono state le sue parole.
LA FAIDA DEL M5S IN SICILIA
La prima conseguenza politica è l’acuirsi della faida interna al M5S in Sicilia, una delle Regioni chiave del movimento. A essere implicati nella vicenda sono nomi e volti illustri, a partire da Nuti e un’altra deputata nazionale, Claudia Mannino. Per la larga parte della base e gli esponenti che fanno riferimento a Giancarlo Cancelleri, ex candidato alla Regione e volto tra i più noti, l’errore è imperdonabile e rischia di gettare al vento quanto fatto finora, nonché di cancellare l’aurea di purezza politica che li ha caratterizzati fin dall’inizio.
Che la situazione sia grave lo dimostra anche la richiesta che arriva dai massimi vertici, a iniziare da Grillo stesso che ha chiesto ai deputati grillini coinvolti, in particolare a Riccardo Nuti e Claudia Mannino, di autosospendersi, ricevendo un secco no. Dal blog era arrivato anche il ringraziamento per il servizio alla trasmissione delle Iene e una nota in cui le persone chiamate in causa si dichiaravano estranei e pronti a querele.
Le ripercussioni della vicenda siciliana potrebbero arrivare anche a Roma. Per un movimento che si presenta come il baluardo della legalità potrebbe essere complicato assorbire il caso delle firme false in vista di una battaglia politica nazionale. Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, interpellati sulla faccenda, hanno espresso la loro fiducia nella magistratura e hanno dichiarato di voler aspettare le carte prima di prendere una posizione. Di fronte a una confessione così chiara, sarà difficile non chiedere le dimissioni anche dei colleghi deputati, cosa che sarebbe coerente con il loro messaggio politico ma incoerente con quanto visto a Roma. Il caso a quel punto potrebbe essere usato dal gruppo romano, capeggiato da Roberta Lombardi, che vede come fumo negli occhi l’amministrazione Raggi. Senza considerare l’arma politica consegnata su un piatto d’argento agli avversari di tutto lo schieramento politico.
IL SERVIZIO DELLE IENE CHE INGUAIA IL M5S
A far scoppiare il caso a livello nazionale è stato il doppio servizio delle Iene, realizzato dall’inviato Filippo Roma e dall’autore Marco Occhipinti, nato da una segnalazione di uno storico attivista, Vincenzo Pintagro, sulla raccolta delle firme per la presentazione della lista del M5S alle elezioni comunali 2012 del capoluogo siciliano. Si tratta di un passaggio obbligatorio per legge per partiti, liste civiche e movimenti che si presentano al voto: secondo l’accusa, sulle 2mila firme allora presentate dal M5S, 1.200 sarebbero state falsificate.
Sulla vicenda indagò a suo tempo la Digos, archiviando le indagini, ma ora i nuovi elementi portati alla luce dalla trasmissione tv sono arrivati anche alla Procura che ha deciso di riaprire le indagini.
Al centro di tutto c’è la raccolta delle firme: oltre la metà di queste sarebbero state falsificate da esponenti di spicco della sezione di Palermo. L’inviato del programma ha contattato i protagonisti della vicenda e mostrato loro i documenti in loro possesso: si tratta di quattro fogli con le firme raccolte nei giorni precedenti alle elezioni, non convalidate dall’ufficiale elettorale. I documenti sono autentici, recano il logo del movimento, i dati dei firmatari e le loro firme autentiche, come conferma un ex attivista all’inviato, riconoscendo la sua firma: perché quei fogli sono in giro a distanza di 4 anni? Perché non sono stati convalidati e quindi presentati? Cosa è stato portato all’ufficio elettorale?
Secondo gli informatori, nel 2012 furono consegnati elenchi di firme falsificate, fatte a mano una per una dagli attivisti che si resero conto di un errore formale che sarebbe potuto costare l’esclusione dalle elezioni. Nei fogli con le firme autentiche, in mano alle Iene, un consigliere comunale risulta nato a Palermo, mentre la città di nascita è Corleone, come da lui confermato. Un errore di poco conto, si dirà, ma ogni documento ufficiale deve essere per legge senza errori. Quello sbaglio, fatto per distrazione o poca esperienza non importa, avrebbe portato a invalidare le firme e quindi all’esclusione dall’elezione. Bisogna trovare una soluzione che salvi capra e cavoli: vengono così presi dei fogli in bianco e, stando alla ricostruzione di testimoni oculari sentiti dalle Iene, alcuni attivisti si mettono di proprio pugno a ricopiare le firme, di fatto falsificandole.
LE MAIL CHE INCASTRANO IL M5S
Alle prove mostrate nel primo servizio se ne aggiungono altre. Si tratta di alcune mail datate 3 aprile 2012 tra attuali parlamentari e deputati regionali, allora semplici attivisti. Si parla sempre delle firme per le comunali: i grillini si sono accorti dell’errore e chiedono aiuto. Dopo 13 ore, alle prime luci dell’alba, la soluzione: sono stati chiusi per 13 ore nella sede del movimento ma hanno trovato le firme necessarie. Come? Falsificandole.
A dare le mail alla trasmissione è Giuseppe Marchese, all’epoca candidato per il M5S, che, dopo il primo servizio e l’appello di Grillo, ha fatto la sua parte, dicendosi pronto a portarle in Procura.
È Samantha Busalacchi, allora attivista e oggi collaboratrice del gruppo pentastellato all’Ars siciliana nonché papabile candidata sindaco del movimento alle elezioni del prossimo anno, a mandare la prima mail. Tra i destinatari ci sono gli attuali deputati Claudia Mannino, Giampiero Trizzino, Riccardo Nuti, Giulia Di Vita, Claudia La Rocca e Azzurra Cancellieri.
“Leggete attentamente, è urgente: rischiamo di non candidarci“, scrive e chiede un aiuto ai colleghi per risolvere “questo problema urgentissimo”. Qualcuno chiede come sia potuto succedere se fino a qualche ora prima era tutto a posto e ora le firme non ci sono più. Alla fine, arriva la mail con cui si chiude il piccolo dramma: “Grazie a tutti quelli che sono rimasti in sede fino alle 4 per finire questo estenuante lavoro”.
Non c’è tempo per festeggiare, come propone la De Vita con “un’ubriacatura generale“: la Mannino fa notare che mancano dei fogli. “Siete pregati di riportarli comunque. Sia se ci sono firme, sia se non ce ne sono. Vanno tutti conservati“, scrive la deputata. Che siano i fogli poi arrivati alle Iene?
IN CONCLUSIONE: Le prove a sostegno della ricostruzione fatta dagli accusatori sembrano convincenti ma, come sempre, sarà la magistratura a dare la parola definitiva: fino ad allora, a livello di reato penale (perché è di questo che si parla), vale la presunzione di innocenza.
A livello politico, il discorso è più complesso.Comunque vada a finire, la vicenda dimostra che l’inesperienza in politica può essere pericolosa e che basta un nulla per rovinare tutto. Il fine non giustifica i mezzi, neanche per il Movimento 5 Stelle.
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