In vista delle elezioni politiche generali del 25 settembre, i partiti politici stanno componendo e presentando il programma elettorale: in quello elaborato dal Centrodestra una delle misure cardine è la Flat tax, la tassa piatta, che viene proposta con alcune differenze tra le forze della coalizione.
La lotta alla riduzione delle imposte fiscali è una vecchia campagna delle formazioni conservatrici e di destra italiane e sicuramente costituisce un cavallo di battaglia elettoralmente attraente. Tuttavia: quanto vi è di attuabile nella proposta, come i tre partiti di destra la declinano e quali sono le coperture richieste? Un tentativo di fare chiarezza.
Si incominci col dire che una forma di tassa piatta è già stata introdotta, per volontà leghista, con la legge di bilancio del 2019. In questa viene posta un’unica aliquota al 15% per le partite IVA il cui reddito sia inferiore ai 65 mila Euro annui.
Inoltre la prossimità delle votazioni alla stesura del DEF 2022 (da stilare entro fine anno) farà probabilmente slittare al 2023 una eventuale rafforzamento ed estensione del taglio fiscale: questo in quanto il provvedimento richiede dei tempi tecnici di approvazione e messa in funzione che rendono poco probabile una sua immediata attuazione, anche nel caso di una ampia vittoria del Centrodestra alle urne.
Cominciando dalla formazione politica in vantaggio nei sondaggi (e forse per tal ragione più prudente nella proposta, vista la sua non facile attuabilità), Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni avanza l’idea di una Flat tax limitata al plusvalore annuo accumulato. In poche parole si tasserebbe con un’unica aliquota il reddito eccedente realizzato rispetto a quello dichiarato l’anno precedente.
Se la misura appena esposta costituisce già una perdita notevole per le casse dello Stato, non ha nulla a che vedere con le enunciazioni degli altri due partiti principali dell’alleanza: Forza Italia e Lega.
La prima lancia il progetto di un’unica aliquota per tutti al 23%, che si stima comporterebbe una spesa pubblica di circa 30 miliardi l’anno.
La Lega è ancora più radicale, volendo portare al 15% la soglia percentuale su cui calcolare l’imponibile, cosa che si prevede causerà un’emorragia da 50 miliardi annui. Tuttavia in questo caso la misura prevederebbe due step intermedi, il cui primo è stato quello del 2019 (aliquota al 15% per partite IVA sotto i 65 mila Euro).
Al di là della modalità e possibilità economiche di finanziare una disposizione così esosa, cosa che per ora le formazioni di centrodestra non hanno esplicato ma che inevitabilmente richiederebbe o un aumento delle imposte in altri settori o una drastica diminuzione del welfare di Stato, ciò che permane da chiarire è il rispetto della progressività della tassazione, come stabilito dalla Costituzione Italiana. Si tenga infine presente che vincoli di bilancio e regolamenti europei impediscono di fare deficit in materie fiscali.
Insomma, per ora la Flat tax resta un’idea elettoralmente allettante, attuativamente poco chiara e costituzionalmente dubbia (e forse moralmente scorretta). Ai tre leader di desta il compito nel prossimo mese di rendere un appetibile annuncio una fattibile proposta.
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