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Il 10 febbraio l’Italia celebra Il Giorno del ricordo delle Foibe. Una delle pagine più oscure e terribili della recente storia italiana viene ricordato perché si inizi, almeno, a risarcire con la memoria le vittime della violenza che scosse il confine italo-jugoslavo. Perché ancora oggi si fatica a capire cosa sono state le foibe? Perché la coltre di omertà, che le ha coperte per decenni, fatica ad alzarsi? L’orrore delle foibe è troppo grande da accettare, ma c’è stata (e c’è ancora) una ragione politica. Gli ex comunisti italiani voltarono le spalle ai connazionali, così come fecero i partiti di governo e le formazioni di destra; allora era la ragione di Stato a prevalere, gli interessi contrapposti di destra e sinistra nel disegnare una nuova mappa dell’Italia. Gli italiani sono stati vittime delle foibe, ma anche carnefici: per alcuni anni mani italiane uccisero le popolazioni slave di quei territori contesi. Capire cosa sono state le foibe e perché ce ne siamo dimenticati è doveroso per amore della verità storica, il ricordo di chi non c’è più e la speranza di un futuro senza odio.
La tragedia delle foibe va inserita nella lunga disputa italo-slava per il possedimento dei territori dell’Adriatico orientale, terre da sempre contese e che finirono stritolate dalle vicende storiche. Italiani e slavi sono stati vittime e carnefici a fasi alterne fin dall’Ottocento: l’occupazione fascista prima e quella della Jugoslavia di Tito poi hanno fatto il resto.
Cosa sono le foibe
Foiba di Vines
Il termine foiba viene dal dialetto locale (fossa) e indica le tipiche cavità carsiche di origine naturale con un solo ingresso a strapiombo a forma di cono rovesciato: in quelle fosse della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia tra il 1943 3 il 1947 vennero gettati quasi diecimila italiani, morti e vivi. Per capire quanto sia difficile ricostruire la vicenda, partiamo dal numero delle vittime: secondo due dei massimi studiosi della vicenda, Guido Franzinetti, docente di Storia dei territori europei all’università del Piemonte Orientale di Vercelli, e il collega sloveno sloveno Jože Pirjevec (nato Giuseppe Pierazzi), autori di “Foibe. Una storia d’Italia”, la maggior parte delle vittime italiane morirono nei campi di concentramento jugoslavi, insieme a tedeschi, ungheresi, russi, croati, sloveni, inglesi e americani. C’è tutto un paragrafo di questa tragedia che aspetta ancora oggi di essere svelato. Alle vittime delle foibe, si devono aggiungere i 350mila esuli istriani e dalmati che oltrepassano il nuovo confine dopo la cessione di Istria e Dalmazia alla Jugoslavia. Un dramma nel dramma di cui la politica italiana si è sempre dimenticata.
Tre date da ricordare
La prima data da ricordare è l’8 settembre 1943, quando l’Italia firma l’armistizio della Seconda Guerra Mondiale. Facciamo però subito un passo indietro. Nel ventennio fascista, le minoranze slave di quei territori di confine subiscono l’italianizzazione forzata, mentre nei paesi slavi si scatena la violenza nazi-fascista, con deportazioni di massa nei campi di concentramento fascisti. Secondo i due storici, solo nel famigerato campo dell’isola di Arbe (Rab), morirono circa 1500 donne e bambini. Con la firma dell’armistizio, i partigiani italiani e slavi danno fuoco alla vendetta e uccidono, torturano e gettano nelle foibe fascisti e tutti coloro che non erano comunisti. La guerra partigiana però perde terreno e i nazisti annettono quelle terre al Terzo Reich: per due anni, dal 1943 al 1945 quella parte di Italia è sotto il controllo tedesco e fascista.
La seconda data è il 1945 quando l’esercito del maresciallo Tito occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. La violenza dei comunisti jugoslavi si scatena contro tutti: fascisti, italiani, tedeschi, socialisti, cattolici, partigiani non comunisti, semplici civili, donne, bambini. Le foibe si riempiono di corpi perché Tito vuole quelle terre per la sua Jugoslavia comunista. Non è solo una questione di annessione territoriale: è l’omologazione alla causa. Il dissenso e la diversità di lingua, credo religioso e politico non è ammesso e la violenza dei titini si abbatte sulla popolazione.
La terza data è quella del 1947 quando l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale e cede Istria e Dalmazia alla Jugoslavia. Circa 350mila italiani si trasformano in esuli: uomini, donne e bambini scappano dalle loro terre non più italiane per sfuggire alla repressione di Tito, ma vengono dimenticate dalla stessa nazione che le ha cedute a un altro Stato.
Perché abbiamo dimenticato
Fino al 2004 in Italia era quasi impossibile parlare di foibe. È solo dal 10 febbraio 2005 che si celebra il Giorno del Ricordo delle Foibe. Perché per quasi 50 anni il nostro paese ha dimenticato le vittime delle foibe?
Una delle motivazioni viene dalla voce di Giovanni Sabbatucci, illustre storico italiano, intervistato a La Storia Siamo Noi nel 2005: “Le foibe sono legate al ricordo della sconfitta dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale: tutto quello che rimandava a quel disastro è stato come rimosso“. Una questione psicologica, dunque: l’Italia prima ha voluto cancellare il ventennio fascista e gli orrori che ha commesso anche contro le popolazioni slave e poi ha dimenticato le vittime italiane della vendetta che lei stessa ha armato. Non è solo questo.
Il PCI ha letteralmente voltato le spalle a migliaia di italiani perché fuggivano dalla Jugoslavia comunista, da una terra che rappresentava per loro la massima realizzazione del progetto comunista. Il legame ideologico con Tito era fortissimo e non poteva essere negato nel massimo momento di contrapposizione tra capitalismo e comunismo. I partiti di governo, DC su tutti, avevano un Paese da ricostruire e gli esuli erano solo un problema in più: anche la destra si è dimenticata delle foibe come degli orrori dei nazi-fascisti per poi ritirarli fuori dal dimenticatoio a scopi di propaganda.
La conseguenza è che, ancora oggi, le foibe sono usate più per scopi politici che per una seria riflessione storica. Così, capita che sulla stampa, in tv e sul web si usino immagini false. Il caso forse più noto è quello della foto del plotone di esecuzione usata da istituzioni, programmi televisivi e articoli per molto tempo e che, ancora oggi circola online.
L’immagine ritrae un plotone di esecuzione che spara a cinque uomini messi di spalle e da anni viene usata per descrivere le foibe. Invece, si tratta di soldati italiani che giustiziano cinque ostaggi sloveni durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Come ha magistralmente ricostruito Piero Purini, con la collaborazione del gruppo di lavoro “Nicoletta Bourbaki” sul sito di Wu Ming Foundation, la foto “è stata scattata nel villaggio di Dane, nella Loška Dolina, a sudest di Lubiana“. Si conosce la data, il 31 luglio 1942, e i nomi delle vittime: “Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič, Edvard Škerbec“. Oltretutto, la stessa immagine compare in un libro del 1946, “Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti“, a cura di Giuseppe Piemontese, con tanto di didascalia. Molte altre foto false delle foibe vengono usate per parlare di questa tragedia, a dimostrazione di quanto poco vogliamo sapere anche oggi.
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