Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva annunciato da tempo l’intenzione di abolire il certificato di verginità in Francia e nell’ultimo periodo ha reso nota la sua volontà di proporre una legge che, non solo ne vieti la pratica, ma di fatto introduca sanzioni per i medici che continueranno a utilizzarla. L’opinione pubblica francese, quindi, si trova a dover soppesare da un lato la laicità dello Stato e dall’altro lato il giuramento di Ippocrate e la tutela dei diritti delle donne. Non sempre, però il test di verginità è garanzia di verità: esistono casi nei quali l’imene viene danneggiato anche senza aver mai avuto un rapporto sessuale. Ma andiamo con ordine.
Il certificato di verginità è al centro del dibattito in Francia da molti anni: tale pratica viene richiesta solitamente dalla famiglia di una donna (o da quella del futuro marito) alla vigilia del matrimonio religioso (in prevalenza nella religione islamica). Questa pratica prevede una comprova della verginità di una donna tramite l’esame del suo imene. Il certificato viene emesso da un ginecologo e non ha valore scientifico, in quanto l’imene può risultare danneggiato anche nelle donne vergini per esempio in seguito ad alcune pratiche sportive o all’utilizzo degli assorbenti interni.
Da un lato, quindi, vi è il ministro degli Esteri – che intende proporre entro la fine del 2020 la legge di abolizione del certificato – che intende garantire la laicità di uno Stato e promuovere i valori della Repubblica francese. Dall’altro lato, invece, si sono schierati i ginecologi francesi che hanno sottolineato la necessità di proteggere i diritti e la privacy delle pazienti. “Tale esame – aveva scritto il consiglio nazionale dell’Ordine nel 2017 – non ha alcuna giustificazione medica e costituisce una violazione del rispetto della privacy di una giovane donna, in particolare quando minorenne”.
A tale scopo, i medici e i ginecologi hanno firmato un documento – pubblicato sul quotidiano Libération – nel quale spiegano i motivi per i quali l’abolizione del certificato potrebbe ritorcersi contro le donne anziché proteggerle.
Secondo i medici firmatari del documento, il certificato di verginità “è una pratica barbara, retrograda e sessista e in un mondo ideale bisognerebbe rifiutarsi di rilasciare un documento del genere“. Tuttavia, proseguono, “nel mondo reale penalizzare la redazione di questi certificati è un controsenso”. Infatti, la redazione di questo documento potrebbe essere una garanzia per la paziente che, oltre ad accertarne la verginità, gioverebbe sul lato della parità dei diritti. Tramite questa certificazione la donna potrebbe sentirsi protetta “se è indebolita, vulnerabile o minacciata nella sua integrità o dignità“.
Ma l’altra faccia della medaglia mette in luce una pratica negativa per le donne, per le quali la mancanza di un attestato di certificazione della verginità “rischiano di essere uccise dal padre o dalla madre”. Pratica che comunque, alla luce dei fatti, finisce per giovare alle ragazze più giovani vittime di violenza. Ghada Hatem, ginecologa che ha fondato la Casa delle donne di Sant-Denis, riporta l’attenzione su questo tema: “Rilasciando questi certificati – sostiene la psicologa -, aiuto gli oppressori, ma io penso invece che aiuto le donne a opporsi a loro“. In altre parole, ha proseguito Hatem, “quando vedo che la donna che me lo chiede ha dei mezzi, che può cavarsela senza, rifiuto di emettere un certificato del genere“. “Parlo dei diritti delle donne, delle battaglie delle generazioni che l’hanno preceduta affinché le donne possano disporre del loro corpo – precisa ancora -. Ma in certi casi per le giovanissime soprattutto, la mia priorità è innanzitutto di proteggerle“.
Anche Joelle Belaisch-Allart, presidentessa del Collegio nazionale dei ginecoloci e ostetrici, ritiene che la richiesta del test sia estremamente rara, “si tratta essenzialmente di richieste di origine religiosa“. Anche lei sottolinea – in accordo con i medici – il paradosso dell’introduzione di questa nuova legge. “Una nuova legge è non solo inutile ma anche impossibile da eseguire perché questi certificati sono utilizzati nella sfera privata: per punire un’infrazione bisogna avere la capacità di constatarla“.
Infine, i medici concludono il documento ricordando che una pratica di certificazione della verginità nella società francese del 21esimo secolo sembra incredibile. “Significa attaccare gli effetti trascurando la causa che affonda le sue radici nell’ignoranza e nella paura. Solo l’educazione – concludono i firmatari – permetterà l’emancipazione di queste giovani donne”.
La polemica si staglia in un contesto già fortemente condizionato da un aspro dibattito pubblico sui diritti e il ruolo della donna all’interno della società francese. Solo pochi giorni fa, infatti, il movimento femminista Femèn si è reso protagonista di una protesta al Museo d’Orly dopo che alcuni guardiani avevano vietato l’accesso a una studentessa vestita con una maglietta giudicata troppo scollata dallo staff museale. Le implicazioni sono ovviamente anche di stampo religioso, in un Paese noto per essere il maggiormente popolato da cittadini di fede islamica dell’Europa Occidentale (10% della popolazione).
La parità di genere, dunque, è tema particolarmente delicato in seno all’Eliseo, e la querelle sul certificato di verginità non può che trovare terreno fertile in un contesto simile.
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