[didascalia fornitore=”ansa”]Francesco Bellomo[/didascalia]
Francesco Bellomo è l’ormai famoso magistrato accusato di un lungo elenco di molestie e abusi ai danni delle studentesse che frequentavano i suoi corsi di formazione. I suoi comportamenti hanno indotto il Consiglio di Stato a destituirlo con voto quasi unanime, ma il caso non è ancora chiuso: diverse procure hanno infatti aperto indagini a suo carico. Bellomo aveva affiancato al suo ruolo di giudice presso il Consiglio di Stato quello di direttore della scuola di formazione “Diritto e scienza” per magistrati in diritto amministrativo, la quale teneva corsi a Roma, Milano e Bari. Proprio nell’ambito del suo ruolo di direttore Bellomo avrebbe commesso una serie di abusi ai danni delle studentesse, fra cui l’imposizione di dress code più adatti a cubiste che ad aspiranti giudici nonché gravi e insistenti ingerenze nella vita privata delle corsiste, corredate da insulti e minacce. Insieme a Bellomo è finito nell’occhio del ciclone anche uno dei suoi collaboratori più stetti: Davide Nalin, pubblico ministero sospeso dal Csm in via cautelare dalle funzioni e dallo stipendio.
[didascalia fornitore=”ansa”]Francesco Bellomo intevistato da Bruno Vespa[/didascalia]
Nalin e Bellomo tuttavia sono arroccati sulle proprie posizioni e continuano a professarsi innocenti. Ospite di Bruno Vespa nello studio di Porta a Porta, Francesco Bellomo ha replicato colpo su colpo alle domande del conduttore, ammettendo di avere avuto relazioni sentimentali con alcune studentesse, ma di non averne mai plagiato alcuna perché “il plagio non esiste in natura e lo dice una sentenza del 1981”, nonché di non essersi mai innamorato in vita sua. E il dress code? “Non era vincolante”, risponde Bellomo, il quale sostiene di non vedere perché debbano esserci differenze fra le vallette in minigonna delle trasmissioni calcistiche e le ragazze che aspirano ad indossare una toga.
Bellomo prosegue intanto nel suo ruolo di docente nonostante la destituzione, le indagini in corso e nonostante gran parte dell’opinione pubblica condivida la colorita definizione che di lui ha dato il direttore del Tg La7 Enrico Mentana.
[didascalia fornitore=”altro”]Carla Pernice[/didascalia]
Abbiamo raccolto la testimonianza di chi ha conosciuto da vicino Francesco Bellomo e il suo collaboratore Davide Nalin: Carla Pernice, ex studentessa della scuola di formazione “Diritto e scienza”. Carla si è iscritta alla scuola di formazione a settembre 2011, incoraggiata dai consigli di una sua amica nonché dall’ottima reputazione accademica del corso. Non poteva immaginare che dietro la patina di perfezione, si nascondesse un retroscena surreale.
Carla ha già raccontato la sua storia, ma oggi ha accettato di parlare con NanoPress per ribadire la sua testimonianza e per dare alcuni consigli a chi dovesse malauguratamente trovarsi in situazioni simili alla sua.
Anche io sono stata sottoposta al cosiddetto “test del fidanzato”: avevo da poco intrecciato una relazione sentimentale con quello che oggi è il mio partner e fui sottoposta a questo particolare test. Per farla breve dovevo assegnare un punteggio al mio compagno a seconda di alcuni parametri: potere/successo, intelligenza, bellezza, capacità d’amare e personalità. Inizialmente fra noi colleghi del corso questo test girava come una goliardata. Ma un giorno Nalin mi suggerì di lasciare il mio fidanzato perché, a suo dire, una persona come me avrebbe dovuto ambire a qualcosa di più.
Ad aprile 2014 Bellomo comunicò l’apertura di alcuni colloqui finalizzati al reclutamento di nuovi collaboratori. Nonostante io avessi un curriculum fra i più brillanti non fui chiamata. Nalin mi spiegò che nonostante mi avesse segnalata per quel ruolo, la mia posizione non poteva essere presa in considerazione finché non avessi troncato la mia relazione sentimentale giudicata non all’altezza delle mie superiori possibilità. In quello stesso periodo alle ragazze convocate fu suggerito caldamente di presentarsi al colloquio con abbigliamento “congruo”. Alcune corsiste che fino ad allora erano abituate a portare indumenti semplici presero a indossare abiti piuttosto corti e scarpe con tacco a spillo, tenute assolutamente non adatte ad incontri professionali fissati in orari mattutini. Certe ragazze che seguivano il dressing code consigliato da Bellomo vennero isolate dagli altri corsisti. Ad agosto 2014 Nalin mi accusò tramite SMS di averlo deluso per avere “violato il principio di selettività”. Si riferiva ancora alla mia decisione di proseguire la mia storia sentimentale. Da parte mia scelsi di portare avanti la mia relazione anche a costo di perdere la possibilità di richiedere l’accesso alla borsa di studio.
I borsisti erano vincolati dall’obbligo di riservatezza: fra di loro non potevano parlare di certi argomenti e non potevano parlarne neppure con i semplici corsisti. Non potevano quindi commentare le stranezze di cui erano testimoni. Fra l’altro alcuni borsisti erano stati invitati a fare la spia: avrebbero cioè dovuto riferire a Bellomo e Nalin atteggiamenti e discorsi che violavano le linee guida da loro imposte.
Bellomo e Nalin mi chiesero di fare da intermediaria per ricucire il rapporto fra la scuola e una collega che aveva deciso di abbandonare. Tentai alcuni approcci, ma ad un certo punto feci presente a Bellomo che probabilmente la ragazza aveva deciso di andarsene per l’eccessiva rigidità dei regolamenti. Bellomo reagì insultandomi, dandomi della pazza, invitandomi a ritirarmi dal corso e minacciando denunce contro la mia persona qualora avessi rivelato i contenuti dei nostri colloqui. Fui espulsa e la cosa mi precipitò in uno stato di profonda tristezza e confusione. Commentai l’accaduto con Nalin, il quale mi consigliò di scrivere “un’istanza di grazia” indirizzata a Bellomo nella quale avrei dovuto dichiarare di aver agito in preda a distorsioni emotive. Io mi rifiutai e fu in quel periodo che iniziai a capire che Nalin, che per me rappresentava un punto di riferimento professionale se non addirittura un amico, era completamente allineato agli indirizzi di Bellomo. Dopo il mio rifiuto di scrivere quella “istanza di grazia” Nalin ripiegò sulla richiesta di sottoscrivere un “contratto di spionaggio” finalizzato al monitoraggio per conto della scuola delle attività su Facebook di una ex collega. Io rifiutai nuovamente e Nalin mi inviò un messaggio dai toni lapidari: “Comportamento inqualificabile che avrà ripercussioni anche personali”.
Affrontai mesi terribili durante i quali mi sentivo confusa e isolata. Fu penoso: avevo stretto delle amicizie e dovetti tagliare i ponti con tutti. Mi fecero letteralmente terra bruciata attorno. Non sapevo chi fra i borsisti avesse acconsentito a prestarsi alle macchinazioni di Bellomo e Nalin. Temevo che se avessi contattato qualcuno fra i miei amici sarei finita con l’essere spiata a mia volta. Non riuscivo più a studiare. Un giorno la rivista della scuola pubblicò un articolo che alludeva alla mia vicenda: la pubblicazione nella forma utilizzava un linguaggio giuridico, ma il contenuto alludeva chiaramente ai fatti che mi avevano toccato da vicino e fu questo a spingermi a parlare.
Avevano un approccio diversificato a seconda della persona che si trovavano davanti. Prima di agganciare una persona la studiavano al corso, fuori dal corso, su Facebook e nelle interazioni con gli altri colleghi. Nel mio caso avevano capito fin troppo bene che prendermi immediatamente di petto non avrebbe sortito alcun effetto per cui avevano tentato un approccio sfiancante, cercando di lavorandomi sui fianchi. Bellomo non gradiva affatto la mia persona.
Ciò che è accaduto avrebbe potuto essere evitato se fosse stata esercitata maggiore vigilanza. E si sarebbe probabilmente potuti intervenire prima che le cose degenerassero.
E’ gravissimo che lui possa ancora insegnare come se nulla fosse accaduto.
[didascalia fornitore=”altro”]Carla Pernice[/didascalia]
Senza dubbio di denunciare. Il contesto culturale in cui stiamo vivendo è maturo abbastanza affinché una ragazza vittima di ricatti o molestie possa denunciare. Non fingiamo però che sia cambiato tutto rispetto al passato, viviamo ancora in una società profondamente maschilista nella quale se una ragazza in minigonna viene violentata è subito accusata di essersela andata a cercare. E’ facile giudicare le vite degli altri, ma per capire certe situazioni bisogna esserne coinvolti in prima persona. Anche nella vicenda che ho vissuto da vicino alcune vittime sono state criticate per essersi prestate alle macchinazioni di Bellomo e per avere firmato il suo contratto. Si badi, non sto giustificando le vittime, perché io non mi sono piegata alle sue richieste e ho immediatamente denunciato. Ma stiamo pur sempre parlando di ragazze che sono state ricattate, minacciate, che hanno sofferto e qualcuna di loro è addirittura finita in ospedale. Finché si continuerà a puntare il dito contro la vittima piuttosto che sul carnefice non si farà altro che alimentare vicende come questa e si impedirà alla verità di venire completamente a galla. Perché la vergogna spinge la vittima al silenzio.
Non ho tratto alcun nuovo insegnamento, ma al contrario ho semplicemente applicato un precetto che è sempre stato la mia stella polare: non scendere mai a compromessi.
Non so se per coraggio o per incoscienza, ma io di queste persone non ho mai avuto paura. Nella vita chi è pulito ha poco da temere. Se non ho denunciato immediatamente quando ho capito che c’era qualcosa di strano è perché inizialmente, da ragazza di 27 anni che si rapporta a dei mostri sacri del diritto, un consigliere di Stato ed un pubblico ministero, ho avuto un periodo di perplessità. Bellomo e Nalin facevano il bello e il cattivo tempo alla luce del sole come se fossero intoccabili. Quando ho capito che la situazione era completamente fuori controllo ho preferito mantenere un basso profilo per tutelare un’amica che era finita nel loro mirino, ma ho iniziato a raccogliere prove in attesa di denunciare il tutto in un momento successivo. Questa è stata la mia idea iniziale, ma dopo la pubblicazione di quel famoso articolo non ci ho pensato due volte e ho fatto l’esposto.
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