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Freddie Mercury: la morte non ha scalfito il mito

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Ricordiamo come se fosse ieri il giorno della morte di Freddie Mercury: era il 24 novembre 1991 e la notizia non giunse come un fulmine a ciel sereno (il cantante appena 24 ore prima del decesso aveva fatto diramare un comunicato stampa nel quale ufficializzava di essere gravemente malato di Aids), sebbene nessuno pensava che potesse morire così presto. Ricordiamo soprattutto il senso di smarrimento, l’incredulità, l’emozione e il cordoglio da parte di tutti gli appassionati di musica, anche di quelli che non amavano particolarmente i Queen. Freddie era infatti un’icona indistruttibile, senza tempo: un animale da palcoscenico che soltanto pochi anni prima aveva messo in piedi con la sua band la tournée più grande e spettacolare della lunga storia dei Queen, il Magic Tour 1986 che avrebbe consegnato ai posteri l’immagine immortale di Freddie Mercury con la leggendaria giacca gialla davanti ai 100 mila di Wembley, oppure vestito da re, con tanto di pelliccia e corona, sulle note finali di God Save the Queen. Ma tutto questo era stato improvvisamente spazzato via: l’uomo che aveva dominato la scena musicale degli ultimi vent’anni era scomparso e nulla sarebbe stato più come prima.

Che cosa ha rappresentato Freddie Mercury (all’anagrafe Farrokh Bulsara, nato a Zanzibar nel 1946 da genitori appartenenti all’etnia parsi e di religione zoroastriana) per la storia della musica? Tanto, tantissimo, basta solo contare il numero di cantanti e band che hanno ammesso di essersi ispirati, in tutto o in parte, a lui. Qualche nome? Dave Grohl e Taylor Hawkins dei Foo Fighters, George Michael, Mika, Robbie Williams, Jeff Buckley, i Keane, Justin Hawkins dei Darkness, persino Michael Jackson e tantissimi altri.

Considerato uno dei più grandi e influenti artisti nella storia del rock, l’importanza di Mercury a livello storico si basa soprattutto sulle sue capacità vocali, decisamente superiori alla media, e sull’ineguagliato carisma come frontman durante i concerti.

Freddie Mercury cantava brani rock ma con una voce da tenore leggero, che nel corso degli anni sarebbe addirittura riuscito a elevare a un’intensità e a una potenza di timbro più vicine a quelle di un tenore lirico. Insomma, era un Pavarotti che aveva deciso di fare la rockstar. Secondo alcune fonti, confutate da alcuni critici ma confermate dal celebre soprano Montserrat Caballé (che aveva registrato con lui l’album Barcelona), una che dovrebbe capirne qualcosa, Freddie era in grado di eseguire una scala di note di fuori dell’intervallo normale, arrivando a quattro ottave con l’aiuto del falsetto. Una roba impressionante.
Sbagliato però ridurre la sua grandezza di artista ‘soltanto’ all’estensione vocale. Il leader dei Queen era anche un eccellente compositore, grazie alla variegata gamma di stili musicali che riusciva a incorporare nelle proprie opere (si pensi soltanto alla complessità di brani come Bohemian Rhapsody o Innuendo), e un ottimo musicista (specialmente di pianoforte, che aveva iniziato a studiare fin dall’età di 9 anni, ma anche di chitarra, clavicembalo e sintetizzatori).

Per quanto riguarda invece le sue indimenticabili performance dal vivo, Freddie Mercury era in grado di ‘ipnotizzare’ il pubblico, non importa se di un piccolo club o di un grande stadio, attraverso ogni suo singolo gesto. Bastava per esempio che muovesse leggermente la testa verso un punto indefinito del palco per vedere tutti gli spettatori guardare esattamente verso la stessa parte. Istrionico, teatrale e trasformista, Freddie pretendeva che ogni esibizione dei Queen fosse uno spettacolo unico e originale, mai uguale allo show precedente. Per questo dava fondo alle sue grandi doti di improvvisazione, da perfetto animale da palcoscenico qual era. David Bowie, non uno qualsiasi, diceva di lui: ‘È un uomo capace di tenere il pubblico nel palmo della propria mano‘. Verissimo.

Tutte queste considerazioni restano valide ancora oggi, a 25 anni anni dalla morte di Freddie Mercury. Il cantante dei Queen resterà per sempre il mito di chi lo ha amato quando era vivo e di chi (sono tantissimi) quel maledetto 24 novembre 1991 neanche era nato ma lo ha comunque scelto suo artista di riferimento. Proprio perché, come scrivevamo all’inizio, Freddie è un’icona senza tempo, non classificabile in una determinata epoca. Immortale.

Raffaele Dambra

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