Il rapporto “Beijing’s Global Media Influence 2022” di Freedom House offre un’analisi approfondita sull’ingerenza cinese nei media e nei social in Italia durante gli anni della pandemia, soprattutto fra il 2019 e il 2021.
Il Covid è stata l’opportunità che ha permesso alla mano lunga di Pechino di estendersi su tutto il Paese, influendo sui social, sull’economia e sulla stampa a più livelli. Il tempo della ricerca prodotta da Freedom House, mette le lancette dell’orologio indietro ai tempi del governo giallo-verde e alla firma sugli accordi della Via della Seta. A supporto della inedita linea sinoitaliana di allora ci sono svariate agenzia di stampa, quotidiani nazionali, ma anche radio e canali del servizio pubblico televisivo.
Il rapporto di Freedom House riporta ai primi giorni della pandemia, quando il livello di disinformazione profuso da Pechino sui social si alza vistosamente in Italia. Nel 2020 su Twitter cominciano a circolare numerosi video della propaganda cinese. Per due settimane viene osannata la solidarietà di Beijing nei confronti dell’Italia. I filmati mostrano immagini pittoresche con l’intento di fondere le due culture, quella italiana e quella cinese.
I contenuti diffusi sul web danno origine a una innovativa comunicazione dei media, letteralmente sinoitaliana e dotata di una sua grafica ben precisa e caratteristicamente orientale. Ma oltre all’intento tipico della propaganda comunista c’è anche una linea di comunicazione ingannevole per l’opinione pubblica.
“Le narrazioni dello stato cinese – si legge nel rapporto Freedom House – hanno minimizzato gli aiuti provenienti dalla Commissione Europea e non hanno menzionato il fatto che grandi quantità di forniture mediche sono state pagate dal Dipartimento della Protezione Civile italiana”.
L’altra linea editoriale diffusa in Italia da Pechino, nega l’esistenza del noto problema dei diritti umani in Cina. A condividere i filmati sono i giornali in lingua inglese controllati da Beijing. Molti contenuti sono condivisi dall’account dell’ambasciata cinese, oppure da miriadi di account dei quali è stato difficile stabilire quanti fossero veri e quanti bot. Va considerato inoltre come l’ambasciata cinese a Roma e il consolato a Milano, possano vantare pagine su Facebook e Twitter, con un seguito di almeno 150.000 follower.
Fra gli argomenti più battuti online dalla diplomazia cinese in italia ci sono le “Fonti di notizie occidentali – che (Ndr) – esagerano il numero di uiguri nei campi di detenzione nello Xinjiang”, ma anche lo “sviluppo del Tibet” facendo però attenzione a non citare mai la repressione subita dai tibetani. Di più: le manifestazioni di Hong Kong sedate nel sangue, vanno invece considerate “affari interni”, come lo è oggi l’indipendenza di Taiwan.
Oltre a una strategia penetrante sui social munita di contenuti falsi o fuorvianti, diffusi a più non posso, la propaganda cinese si è avvalsa di collaborazioni con le grandi agenzie stampa del Paese. Il rapporto Freedom House parla delle partnership di Pechino con l’Ansa, AdnKronos, l’Agi, Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera e Class Editori, ma dentro ci vanno anche la Rai e Mediaset.
Gli accordi firmati con i big dei media italiani prevedevano la fornitura di notizie prodotte dai media controllati dal governo cinese. Si legge nel rapporto: “Il Sole 24 Ore ha siglato una partnership con Economic Daily, un quotidiano sponsorizzato dallo Stato cinese.”
E ancora Freedom House: “L’agenzia nazionale di stampa associata italiana (ANSA) aveva un accordo di condivisione dei contenuti con l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua”, partnership poi conclusasi nel 2022.
Di più: La Rai ha firmato a sua volta un accordo con China Media Group. Il servizio radiotelevisivo pubblico, spiega il Rapporto, disseminò un’informazine poco obiettiva sugli aiuti della Cina all’Italia proprio in piena pandemia: “Ad un certo punto – si legge nella Ricerca – durante l’emergenza dovuta al COVID-19, la Rai ha fornito una copertura mediatica sugli aiuti alla pandemia forniti dalla Cina, di tre volte superiore a quella utilizzata per gli USA, che promisero 100 milioni di euro in assistenza”.
La propaganda cinese in Italia durante la pandemia ha mirato a irrobustire i rapporti bilaterali fra i due paesi, “sminuendo le differenze ideologiche” in favore dell’opportunità economica. È un atteggiamento che continua anche oggi, ed è confermato dai resoconti della stampa a proposito dell’incontro di Giorgia Meloni con Xi Jinping al G20 di Bali.
Ma il livello di penetrazione cinese nella stampa, come evidenziato da Freedom House, è tale da tramutarsi in un’influenza di dubbiosa lealtà per l’economia italiana. Nel caso del Sole 24 Ore, si legge nel Rapporto, l’accordo era finalizzato allo “sviluppo di prodotti editoriali su misura per il mondo imprenditoriale dei due Paesi”. “Il giorno dopo la firma dell’accordo – continua la ricerca – Il Sole 24 Ore ha pubblicato 17 articoli pro-Pechino, tra cui traduzioni dirette dall’Economic Daily e una raccolta di citazioni di Xi Jinping sulla BRI.44. Nel 2021, il quotidiano ha pubblicato anche due articoli del People’s Daily”.
L’Ansa “aveva un accordo di condivisione dei contenuti con l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, consentendo ai contenuti dei media statali cinesi di apparire nell’ampia varietà di giornali che si affidano al newswire dell’ANSA”. Mediaset, per esempio, non ha aveva nessun corrispondente in Cina, ma si avvvaleva, appunto, solo dell’informazione prodotta dalla stampa controllata da Pechino.
Nel rapporto vengono poi citati gli svariati viaggi offerti dal governo cinese a giornalisti italiani. Molti viaggi vengono compiuti nel 2018: “giornalisti dell’emittente pubblica Rai e di tre importanti quotidiani si sono recati in Cina con l’obiettivo dichiarato di ‘esplorare nuove opportunità di cooperazione tra Italia e Cina’”.
A puntare il dito sull’influenza cinese sui media e sui social italiani c’è anche il Copasir: “in un’indagine ha scoperto che il governo cinese ha amplificato narrazioni false e ingannevoli sugli aiuti COVID-19 di Pechino all’Italia”. E ancora: “La società di ricerca e consulenza digitale Alkemy SpA ha rilevato che il 46,3 per cento dei post su Twitter che utilizzano l’hashtag #forzaCinaeItalia dell’ambasciata (“Cina e Italia forti”) sono stati pubblicati da bot, così come il 37,1 percento dei post con l’hashtag #grazieChina (“Grazie , Cina”)”.
Le pressioni di Pechino vengono esercitate direttamente anche sui giornalisti: “il portavoce dell’ambasciata cinese ha avvertito esplicitamente Giulia Pompili, giornalista del quotidiano centrista Il Foglio, di ‘smetterla di parlare male della Cina’; altri giornalisti hanno riportato anonimamente simili commenti intimidatori da parte di questo portavoce”.
E ci sono problemi anche sui social, poiché adesso i più predominanti sono diventati quelli cinesi. L’app di Tiktok su piattaforma Android quest’anno è stata la più scaricata fra tutte quelle degli altri social. Ma nell’occhio del ciclone c’è anche Wechat, altro Social cinese diffusissimo in Italia. Un pericolo per la nostra privacy, la nostra stampa e la nostra economia.
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