Tre persone sono state fermate la scorsa notta dalla Procura di Verbania per l’incidente avvenuto domenica sulla funivia Stresa-Mottarone, nel quale hanno perso la vita 14 persone. Si tratta di Luigi Nerini, proprietario della società che gestisce l’impianto, Enrico Perocchio, direttore dell’esercizio, e del capo servizio Gabriele Tadini. Attualmente, i tre indagati sono stati condotti nel carcere di Verbania.
La cabina aveva problemi da un mese e mezzo
Gli inquirenti hanno accertato che la cabina presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso. Dopo un lungo interrogatorio, i tre hanno ammesso le proprie responsabilità. “Quella cabina aveva problemi da un mese o un mese e mezzo“, confessa uno degli indagati. Per cercare di risolverli, sono stati effettuati “almeno due interventi tecnici“, ha rivelato Gabriele Tadini, il capo servizio responsabile del funzionamento della Funivia del Mottarone, durante l’interrogatorio.
Il freno non è stato attivato volontariamente
“C’era un problema, non volevano fermare il servizio“, ha dichiarato il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. “Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso“, aggiunge Cicognani ai microfoni di Buongiorno Regione, su Rai Tre. “C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte“, continua il colonnello. E conclude: “Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione“.
Unanime la decisione di disattivare il freno
Per il procuratore della Repubblica, Olimpia Bossi, “non è stata la scelta di un singolo, ma condivisa e non limitata a quel giorno“. La decisione è stata presa dai tre per “superare problemi che avrebbero dovuto essere risolti con interventi più decisivi e radicali invece che con telefonate volanti“. Lo ha ribadito il procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi, in merito ai fermi eseguiti nella notte. “Credo che l’impianto, gestito dalla società, abbia plurimi dipendenti“, continua Bossi. E aggiunge: “Verificheremo se anche il personale sapeva, il che non significa che fosse una loro decisione lasciare il forchettone che ha impedito al freno di emergenza di entrare in funzione“.
Cambia l’ipotesi di reato
“Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale“, ha aggiunto Olimpia Bossi. Alla luce delle recenti confessioni, cambia anche l’ipotesi di reato. All’omicidio colposo si è aggiunto l’articolo 437 del codice penale, che punisce con una condanna fino a dieci anni la rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, aggravata dall’accadimento del disastro. Nelle prossime ore sarà chiesta la convalida del fermo ai tre fermati.