Uno dei modi per comprendere la presenza di elettricità nell’atmosfera terrestre sono i fuochi di Sant’Elmo, un curioso fenomeno che si associa ai temporali e che si manifesta ai nostri occhi come dei lampi di colore blu, che durano appena pochi secondi. I fuochi di Sant’Elmo sono soliti comparire poco prima dei temporali, nei pressi di strutture alte e appuntite, quali ad esempio antenne, alberi maestri delle navi, guglie delle chiese o ciminiere, e furono notati sin dall’antichità, benché solo con il passare dei secoli si è invero compreso che questi bagliori erano testimonianza della presenza di un campo elettrico. Cosa caratterizza i fuochi di Sant’Elmo? Perché si manifestano solo in determinate occasioni di perturbazioni temporalesche? E qual è l’origine di questo curioso nome? Proviamo a rispondere a questi interrogativi approfondendo la conoscenza di tale fenomeno atmosferico insolito, che magari abbiamo notato di sfuggita durante una giornata di forte pioggia, senza avere ben chiaro a cosa abbiamo assistito nell’arco di quei pochi attimi.
Fuoco di Sant’Elmo, che cos’è?
Si definisce fuoco di Sant’Elmo una scarica elettro-luminescente tendenzialmente di colore bianco-bluastro, che viene generata dalla ionizzazione dell’aria durante un temporale, talora anche di un tornado, in presenza di un forte campo elettrico nell’atmosfera. Tecnicamente viene definita tale scarica un plasma, causata dalla massiccia differenza di potenziale atmosferico, in combinazione con il potere disperdente di strutture appuntite, creando il cosiddetto effetto corona: le punte di antenne o degli alberi delle navi rappresentano linee di forza che amplificano la maggior carica elettrica dell’atmosfera, dovuta al sopraggiungere della perturbazione. Tale fenomeno di ionizzazione, che precisamente coinvolgono molecole di ossigeno (O2) e di azoto atmosferico (N2), le quali si caricano e poi ritornano allo stato precedente, emettendo appunto un bagliore, non avviene ogni volta che c’è un temporale, anzi: per avere i fuochi di Sant’Elmo è necessario che l’aria sia priva di umidità, poiché solo un’atmosfera secca permette un rapido accumulo di elettricità, necessario all’induzione del fenomeno.
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Fuochi di Sant’Elmo: un po’ di storia
Perché si chiamano fuochi di Sant’Elmo? A dispetto dell’usanza di dare nomi alle perturbazioni rifacendosi a personaggi storici per evocare anche un certo sensazionalismo, l’origine del nome di questo fenomeno atmosferico ha contorni molto precisi, e lo si deve alla figura di Sant’Erasmo di Formia, detto appunto anche Sant’Elmo, vescovo martire arso vivo, nominato santo patrono dei naviganti, che consideravano la sua comparsa di buon auspicio: nell’antichità la comparsa delle ‘luci blu’ era vista dai marinai come un segno della sua presenza, e poiché spesso i fuochi appaiono sulla testa dell’albero maestro delle navi durante i temporali, è ben facile comprendere l’associazione. La narrazione della morte del santo si colora di leggenda dal momento in cui si tramanda che, sulla cima della pira del rogo, si vide comparire una fiamma bluastra, che venne considerata l’anima del vescovo che si innalzava al cielo. Da qui le scariche blu durante i temporali prendono pertanto il nome di fuochi di Sant’Elmo.
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Notizie di avvistamenti dei fuochi di Sant’Elmo si hanno invero sin dall’antichità: nell’antica Grecia prendeva il nome di Elena in presenza di un fuoco singolo, se doppio invece era detto Castore e Polluce. Tracce dei fuochi di Sant’Elmo si hanno nelle opere di Giulio Cesare, di Plinio il Vecchio, ed anche nelle opere letterarie come il Moby Dick di Melville o l’Orlando Furioso di Ariosto. In molte lingue, tra cui l’inglese, i fuochi di Sant’Elmo vengono chiamati ‘corpusants’, il cui significato deriva da un’espressione portoghese, ‘corpo santo’. Un fenomeno atmosferico tanto antico quanto ancora oggi incredibilmente affascinante, ennesimo tassello delle multiformi manifestazioni della natura sul nostro pianeta.