La cassa integrazione di emergenza stanziata per il Covid è stata richiesta per un quarto da imprese che non hanno riscontrato perdite di bilancio. È quanto emerge dallo studio ‘Le imprese e i lavoratori in cassa integrazione Covid nei mesi di marzo e aprile’, effettuato dalla Direzione Centrale Studi e Ricerche dell’Inps in collaborazione con la Banca d’Italia, e pubblicato nella sezione del sito Inps ‘Studi e Analisi’.
I dati sulla cassa integrazione Covid
Nei mesi di marzo e aprile 2020 oltre la metà delle imprese italiane ha fatto uso della CIG-Covid. La cassa integrazione ha riguardato quasi il 40% dei dipendenti del settore privato.
L’utilizzo della CIG-Covid è risultato più elevato nei settori che sono stati sfavoriti dalla pandemia e in quelle attività definite ‘non essenziali’, quindi sottoposte a lockdown a marzo e aprile. Queste imprese hanno fatto un ricorso più generalizzato alla CIG-Covid e meno correlato ai cambiamenti dell’evoluzione ciclica determinati dalla crisi.
Ogni impresa CIG-Covid ha risparmiato circa 1.100 euro per dipendente presente in azienda (a prescindere dall’incidenza dei lavoratori in CIG).
L’importo medio risparmiato grazie alla riduzione dell’orario di lavoro è stato pari a 3.900 euro nel bimestre per le imprese più piccole, quelle cioè che hanno utilizzato prevalentemente la cassa integrazione Covid in deroga.
Le imprese più grandi del settore dei servizi, sostenute dall’assegno ordinario Covid, hanno risparmiato in media quasi 24.000 euro. Per le imprese della manifattura, che hanno sfruttato soprattutto la CIG ordinaria Covid, il risparmio è stato di circa 21.000 euro.
Ogni lavoratore in CIG-Covid ha subito, in media, una riduzione oraria di 156 ore, il 90% dell’orario mensile di lavoro a tempo pieno (pari a 173 ore in marzo e aprile), perdendo, secondo le attuali stime, il 27,3% del proprio reddito lordo mensile.
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I furbetti della cassa integrazione Covid
Anche in settori in cui i livelli produttivi o il fatturato non sono diminuiti rispetto al periodo precedente la pandemia, l’utilizzo della CIG-Covid ha coinvolto una quota significativa di imprese pari a circa il 20% nella manifattura e il 30% nei servizi.
Delle oltre 500 mila imprese che hanno usato la CIG “più di un quarto delle ore” (pari a 150 milioni), hanno alleggerito i conti di imprese che non hanno registrato perdite di fatturato nei primi sei mesi dell’anno nonostante la crisi, e il lockdown dovuto alla pandemia di coronavirus. Lo ha sottolineato Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio che ha illustrato i dati INPS davanti alle commissioni Bilancio.
Le imprese che hanno fatto ricorso alla CIG-Covid sono per il 45% nel Nord Est, per il 48% nel Nord Ovest, al 52% nel Centro e al 55% nel Mezzogiorno. L’alta incidenza nel Mezzogiorno è spiegata dalle caratteristiche delle imprese presenti, con riferimento in modo particolare ai settori di attività che hanno maggiormente subito le conseguenze della crisi (alloggio, ristorazione, costruzioni e commercio al dettaglio non alimentare).
I dati INPS sono ancora parziali
Nello studio si analizzano i dati relativi all’utilizzo effettivo degli strumenti di integrazione salariale nei mesi di marzo e aprile. L’analisi è basata su dati presenti nell’archivio dell’Inps e si riferisce a tutti gli strumenti di integrazione salariale previsti dal governo per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19.
Si parla dunque di Cassa integrazione guadagni (CIG) ordinaria, assegni dei Fondi di solidarietà e del Fondo di integrazione salariale (FIS) e CIG in deroga, sia pagati direttamente dall’INPS sia portati a conguaglio dalle imprese.
I dati, aggiornati al 15 luglio, si riferiscono al mese di competenza del pagamento nel quale i lavoratori hanno subito la riduzione dell’orario di lavoro e non al mese in cui la CIG-Covid è stata autorizzata dall’INPS.
Il decreto Cura Italia ha infatti riconosciuto alle imprese la facoltà di richiedere l’autorizzazione all’uso della cassa integrazione d’emergenza covid anche in un momento successivo all’effettivo utilizzo degli strumenti di integrazione salariale. Questo vuol dire, in sostanza, che i dati commentati non possano essere ancora considerati come definitivi.