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Gegia, il caso Bellavia e l’importanza delle parole

Il caso Bellavia ci ha insegnato che dovremmo fare attenzione a quello che diciamo e come lo diciamo. Spesso una parola fuori posto, che per noi è del tutto insignificante, può ferire irrimediabilmente chi la ascolta: per questo dovremmo imparare a capire cosa vale davvero la pena dire e quando invece sarebbe semplicemente più giusto tacere.

Marco Bellavia – Nanopress.it

Quello che è accaduto solo pochi mesi fa al Gf Vip 7 non si dovrà mai più ripetere (almeno speriamo che sia così): un uomo inerme, triste, solo che chiede aiuto e anziché trovare davanti ai suoi occhi mani protese verso di lui, ne trova solo alcune pronte a colpirlo (metaforicamente, si intende). Da questo, però, potremmo trarre un importante insegnamento: dobbiamo prestare massima attenzione a quello che diciamo, perché il fatto che le parole non siano armi riconosciute non significa che non possano essere altrettanto pericolose.

Il caso Bellavia ci ha insegnato un’importante lezione di vita

Il caso Bellavia ci ha insegnato solo pochi mesi fa una lezione di vita importantissima: le parole sono importanti, hanno un valore, non devono essere sottovalutate. Una parola fuori posto spesso può essere più dolorosa di un pugno, letteralmente. Non dovremmo mai aprire la bocca solo per pronunciare parole a caso, soprattutto quando sono riferite a un interlocutore di cui non conosciamo la storia. Per capirci di più dobbiamo tornare a quattro mesi fa circa.

Settembre 2022. Marco Bellavia entra nel Gf Vip 7, dopo vent’anni di lontananza dalla tv. Negli anni ’90 era stato un’icona del piccolo schermo, un punto di riferimento per i ragazzini dell’epoca, cresciuti letteralmente con lui. Poi i primi anni del 2000, l’oblio, il sipario che cala. Ma la vita non aveva ancora smesso di sorprendere Marco che, dopo aver messo “da parte” la sua professione in tv, era riuscito a trovare la gioia nella sua famiglia. Nel 2007 era infatti nato Filippo, il suo primo e unico figlio, a cui in pratica Bellavia ha dedicato gli ultimi 15 anni della sua vita (quasi) completamente, come aveva raccontato diverse volte negli ultimi tre anni durante le ospitate nei programmi di Barbara D’Urso (l’unica occasione in cui era tornato davanti alle telecamere in sostanza).

Poi la chiamata di Alfonso Signorini, le luci dei riflettori che si riaccendono, il pubblico che ricomincia ad acclamarlo. Per Marco Bellavia sembrava un nuovo inizio quello nel Gf Vip 7. Sembrava che fosse quella la prima pagina di un intero capitolo da scrivere da zero. E, soprattutto, sembrava che questo avrebbe avuto un lieto fine questa volta.

Eppure, solo dopo pochi giorni trascorsi all’interno della casa più spiata di Italia, accade l’impensabile. Marco Bellavia inizia ad avere problemi psicologici (anzi, ricomincia dovremmo dire, perché tecnicamente questi sono riemersi scatenati da una serie di fattori) e nessuno – sottolineiamo nessuno – dei suoi coinquilini lo aiuta. Tutti lo vedono, tutti lo guardano, tutti lo osservano e nessuno muove un dito per aiutarlo (al netto di Antonella Fiordelisi e Luca Salatino).

In puntata Alfonso Signorini si accorge che qualcosa non va e decide di aprire un “caso” interno al reality, monitorando h24 il “Vippone” – del resto, tanto lo sarebbe stato comunque, ma in quel caso il conduttore aveva promesso di avere un occhio di riguardo per lui – ma ormai era troppo tardi: dopo aver trascorso soli dieci giorni all’interno del Gf Vip 7, Marco decide di uscire. Sconfitto, umiliato, perdente. E sia chiaro, non per il suo comportamento, ma per quello dei suoi coinquilini, che avrebbero dovuto sostenerlo e invece, pur essendosi accorti del suo disagio, si sono girati dall’altra parte.

Tra gli accusati ne spiccava una, la cui posizione era diversa da quella degli altri: Gegia, comica navigata che, per chi non lo sapesse, era – era e non è più – iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio. Ebbene, consideriamo che l’ex Vippona aveva usato parole nei confronti di Bellavia come “matto”, “malato”, gli aveva detto esplicitamente “Non me ne frega niente di cosa hai avuto, da psicologa ti consiglio di stare zitto” e poi “Tu non stai bene” e addirittura nella diretta immediatamente successiva alla sua eliminazione, durante una pausa pubblicitaria, aveva continuato affermando: “Dovevamo tenercelo e sentire le ca***te che diceva”. Non fa un po’ strano pensare che una psicologa usi certi appellativi impropriamente, che veda una persona disperarsi e gli consigli di “tacere” anziché provare a capire quale sia la genesi del suo malessere, che davanti a una persona distrutta che è arrivata ad abbandonare un gioco per problemi psicologici, abbia continuato a offenderlo?

In effetti sì, non possiamo dire il contrario. E infatti il web le si è scagliato contro, ma la sua “vendetta” (implicita) Marco l’ha avuta comunque considerando che alla fine poche puntate dopo Gegia è stata eliminata, dal momento che ormai una fetta piccolissima di pubblico era disposto a sostenerla.

C’è qualcuno, però, che non è voluto restare a guardare e, consapevole dell’accaduto, ha pensato di prendere provvedimenti diretti. Parliamo di Alessia Pontecorvo e Veronica Satti – che, per chi non lo sapesse, è la figlia di Bobby Solo, che con il padre ha avuto innumerevoli problemi per decenni e che ha recuperato un rapporto solido con lui solo negli ultimi anni – che già a ottobre, subito dopo i fatti quindi, avevano deciso di fare una segnalazione all’ordine degli psicologi del Lazio che a quel punto ha aperto un’istruttoria, che alla fine ha portato alla radiazione di Francesca Antonaci (questo il suo vero nome).

La Satti aveva spiegato perfettamente sui suoi social il suo punto di vista sull’accaduto, scrivendo: “I comportamenti da condannare erano diversi e tutti gravi: lo ha apostrofato pazzo e malato e ha comunque continuato a tormentarlo, ma la cosa che più ci ha lasciate “senza parole” e ci ha fatte arrabbiare è stata una diagnosi fatta in diretta tv. Francesca Antonaci è l’antitesi di chi studia psicologia: lo psicologo è tenuto a ottemperare alle norme del Regolamento Europeo (anche se non pratica) una di queste norme riguarda la privacy della diagnosi e dei dati sensibili”. 

Dopo la notizia della radiazione, poi, prontamente è arrivata la risposta della stessa Gegia, che però, contrariamente a quanto si potesse immaginare, non è apparsa affatto turbata e si è limitata a dire: “Non ho mai esercitato come psicologa e non mi è mai interessato farlo, essere iscritta all’ordine degli psicologi aveva anche un costo, me ne farò facilmente una ragione. Continuerò a far divertire con il mio lavoro di attrice, come faccio da quasi 50 anni, anche gli psicologi del Lazio e le loro famiglie. A me questo interessa: dare a loro e a tutto il pubblico italiano momenti di piacevole spettacolo e di serenità”.

Gegia – Nanopress.it

Adesso, però, il problema è il seguente: il caso Gegia è chiuso, ma perché è accaduto tutto ciò? Esiste un modo affinché vicende simili non si verifichino? Non dovremmo forse modificare proprio il nostro modo di parlare in alcuni casi?

Facciamo una considerazione sull’uso delle parole

Le parole fanno male, feriscono, possono colpire dei nervi scoperti. A volte, è vero, sono peggio delle azioni, continuano a rimbombare nella testa di chi le ha ascoltate, restano impresse nella mente anche dopo molto tempo. Ci sono dei punti deboli di ogni persona che talvolta emergono proprio spinti da frasi, affermazioni, illazioni. Ecco perché, quando non si sa, è meglio tacere e basta. Oppure quantomeno imparare a edulcorare potrebbe essere già un primo passo (anche se potrebbe comunque non essere sufficiente da solo).

Lo abbiamo visto nel succitato caso Bellavia: un uomo – tra l’altro adulto, circondato da adulti – stava male, trascorreva notti insonni, giornate intere a piangere e le persone intorno a lui non hanno perso tempo a etichettarlo come “pazzo”, “malato”, lo hanno accusato di essere entrato al Gf Vip 7 solo per fare psicoterapia gratis, gli hanno intimato di andare alla “neurodeliri” – che, per inciso, non esiste più da decenni – e chi più ne ha più ne metta (e non è stata solo Gegia a farlo, ma sono altrettanto responsabili anche Giovanni Ciacci, Patrizia Rossetti, Eleonoire Ferruzzi e altri).

Se magari avessero trasformato la parola “pazzo” in “triste”, “malato” in “bisognoso di aiuto”, gli avessero chiesto di cosa necessitasse anziché puntargli il dito contro, gli avessero offerto una spalla su cui piangere al posto di parlare dietro la sua di spalla, magari Marco si sarebbe ripreso, avrebbe affrontato il reality con la giusta tranquillità emotiva e, perché no, sarebbe arrivato anche in finale.

Sia chiaro, ad oggi, nonostante siano passati mesi, non sappiamo cosa precisamente abbia innescato quel malessere in lui: da un lato lui stesso aveva affermato che in quei primi giorni nella casa gli erano piombati addosso 30 anni di problemi, facendo pensare a qualche psicopatologia pregressa emersa a causa della lontananza dai suoi affetti, dall’altro, non appena uscito, lo stesso protagonista della triste vicenda ha parlato di mancanza di sonno, che gli aveva procurato poi anche problemi psicologici. Ma poco cambierebbe, perché qualcosa che non andava c’era lo stesso e lui andava aiutato. Punto.

Questo, però, dovrebbe portare a un ragionamento molto più ampio: le parole vanno maneggiate con cura. Proprio pochi giorni fa, Francesca Michielin, cantante di successo, si è detta più che stufa di sentire sempre commenti sull’aspetto fisico: una volta sono i brufoli il problema, una volta il peso. C’è sempre qualcosa da criticare. Ecco, l’artista voleva invitare i suoi followers (e non solo) a riflettere prima di parlare e a chiedersi: quello che sto per dire farà bene a chi lo ascolterà?

In effetti, pensandoci bene, quante volte ci siamo sentiti dire – oppure abbiamo sentito dire alle persone intorno a noi – frasi come “sei ingrassato/a”, “sei dimagrito/a”, “stavi meglio prima” e chi più ne ha più ne metta? Probabilmente innumerevoli. Ma magari chi si sente fare queste considerazioni in quel preciso momento sta soffrendo a causa del suo peso, che non sempre oscilla perché lo vogliamo, ma a volte è il risultato di problemi fisici oppure psicologici, oppure si sente insicuro del suo aspetto e non fa altro che iniziare a esserlo ancora di più sentendo quelle parole, oppure – e questa è l’ipotesi peggiore – ha affrontato oppure sta affrontando problemi alimentari seri e qualsiasi commento non richiesto potrebbe minare irrimediabilmente il suo percorso per uscirne definitivamente.

Ci sono ragazzine, adolescenti che arrivano a perdere la vita per rincorrere degli ideali probabilmente inesistenti in natura – risultato, il più delle volte, di Photoshop e di una somma infinita di filtri – e persone che arrivano a perdere completamente l’autostima per via dei commenti altrui. Ovviamente questo non riguarda solo l’aspetto fisico, ma tutti i campi della vita (e il caso di Marco Bellavia ne è la prova lampante).

Dovremmo sempre considerare che non tutti abbiamo la stessa considerazione di noi stessi, la stessa forza. C’è chi è più sensibile, più fragile davanti alle critiche, meno sicuro di sé. Dobbiamo sempre tenerlo a mente, perché quella che per noi potrebbe essere una frase detta con leggerezza, per qualcun altro potrebbe risultare più affilata di un coltello. Vale davvero la pena scuotere l’equilibrio di un altro – chiunque sia – solo per la smania di commentare tutto e tutti? Ovviamente no. Se possiamo evitare di sindacare, dovremmo proprio farlo. Se possiamo fare un complimento, anziché offendere, dovremmo proprio farlo. Magari regaleremmo un sorriso a qualcuno e miglioreremmo la sua giornata in un secondo anziché rovinargliela.

“Praticate gentilezza a caso e atti di bellezza privi di senso”, disse qualcuno tempo fa, perché “La gentilezza può generare gentilezza tanto quanto la violenza genera violenza”. E questo non dovremmo davvero dimenticarlo mai.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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