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Giada aveva 25 anni, da studentessa iscritta al corso di Scienze naturali dell’Università Federico II di Napoli si trovava in Ateneo insieme a tutta la sua famiglia per una giornata speciale e importante, quella della discussione della sua laurea. Finalmente avrebbe concluso il ciclo di studi e per lei sarebbe cominciato un altro capitolo della vita, circondata dall’affetto dei genitori e di tutti i suoi cari. Ma non è così che è andata a finire la sua storia. La ragazza è rimasta schiacciata dal peso di una bugia che non è riuscita a confessare, e per la vergogna, la disperazione e l’ansia di deludere i suoi ha preferito uccidersi.
La tragedia è avvenuta nel giorno in cui la ragazza aveva annunciato ai genitori la discussione della sua tesi.
I familiari l’aspettavano nell’aula dell’Università, dove uno dietro l’altro gli studenti sedevano davanti alla Commissione per l’ultimo step della loro carriera al Federico II.
Ma la ragazza non avrebbe mai potuto porsi davanti ai professori a ragionare e discutere la sua tesi, perché non aveva ancora finito gli esami e non era quindi nella lista di studenti laureandi in questa sessione. Non si sarebbe laureata, ancora, ma le è mancato il coraggio di dire la verità ai genitori, non voleva deluderli. Troppe volte aveva sostenuto con loro di aver passato un esame, addirittura li aveva invitati all’università, insieme ad altri parenti e amici venuti apposta dal Molise, per una fantomatica discussione della tesi che invece non ci sarebbe mai stata.
Il momento dell’appello, con il suo nome non presente nell’elenco, avrebbe svelato la sua bugia: non era una laureanda, ancora. Giada non aveva dato tutti gli esami, per la laurea ci sarebbe voluto ancora del tempo. Come dirlo a genitori, fratello, amici venuti per festeggiarla?
La ragazza non ha retto alla pressione di un castello di carta da lei stesso architettato, non è riuscita a fronteggiare le sue responsabilità, vittima della sua stessa bugia e del profondo senso di colpa che avvertita dentro. In preda a un’angoscia indicibile e alla vergogna per aver ingannato la famiglia, ha preferito farla finita, è salita sul tetto dell’Università e si è buttata giù. Mettendo la parola fine alla sua vita, alle sue speranze e a quelle della sua sconvolta famiglia.
Con il passare delle ore anche i social si sono riempiti di messaggi di cordoglio, riflessioni e commenti all’accaduto. Così come si legge anche in un post sulla bacheca di Guido Saraceni, docente di Filosofia del Diritto e Informatica Giuridica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’università di Teramo, che scrive:
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“Per quanto mi riguarda, la giornata delle lauree è un giorno di lavoro non meno faticoso e stressante di altri. I candidati devono essere attentamente ascoltati, interrogati e valutati. I voti devono essere discussi, spesso anche lungamente, con una commissione di colleghi che non sempre hanno le stesse idee, la stessa sensibilità culturale o lo stesso identico orientamento in tema di voti. Eppure, la giornata delle lauree per me è anche una giornata gioiosa. Guardando il volto dei genitori, degli amici, dei parenti accorsi per sostenere e supportare il proprio candidato, partecipo volentieri della loro felicità, ne percepisco l’orgoglio e l’emozione. Mentre il candidato parla, sono tesi come corde di violino, attenti ad ogni singola parola, con gli occhi lucidi e lo sguardo fiero. Dopo, si lasciano andare ai festeggiamenti, con tanto di cori e coriandoli. La giornata delle lauree celebra la maturazione, la fatica e l’impegno dei nostri studenti. Ha il sapore della speranza nel futuro”.
“A queste cose ho pensato ieri – prosegue Saraceni – quando letto che una ragazza di Napoli, il giorno delle lauree, è salita sul tetto dell’Ateneo e si è lanciata nel vuoto: aveva detto a parenti ed amici che quel giorno si sarebbe laureata, ma non aveva completato il ciclo di studi. L’Università non è una gara, non serve per dare soddisfazione alle persone che ci circondano, non è una affannosa corsa ad ostacoli verso il lavoro. Studiare significa seguire la propria intima vocazione. Il percorso di studi pone lo studente davanti a se stesso. Cerchiamo di spiegarlo bene ai nostri ragazzi. Liberiamoli una volta per tutte dall’ossessione della prestazione perfetta, della competizione infinita, della vittoria ad ogni costo. Lasciamoli liberi di essere se stessi e di sbagliare. Questo è il più bel dono che possono ricevere. Il gesto d’amore che può letteralmente salvarne la vita”, conclude il prof.
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