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E’ il 31esimo anniversario della morte del giornalista Giancarlo Siani, che ha avuto il coraggio di denunciare molte verità, non facendosi intimorire dalla camorra.
A rendere Siani Giornalista (e la g maiuscola non è casuale) non sono state tessere o esami, patentini o assunzioni ma solo la passione e l’amore per la verità e il giornalismo. La sua parabola professionale si consuma nella seconda metà degli anni ’80 quando indagava sui rapporti tra criminalità organizzata e politica. Siani lavorava per Il Mattino in un periodo difficile, quando a Torre Annunziata faceva sentire la sua presenza il clan di Valentino Gionta, alleato con i Nuvoletta di Marano, i quali si ponevano dalla parte dello schieramento di Totò Riina. Giancarlo Siani rappresentava un caso scomodo per la camorra. Egli era un vero giornalista, un uomo giovane che aveva deciso di non fermarsi davanti a nessun ostacolo. Il suo obiettivo era quello di raccontare la verità così come essa è, senza girarci intorno.
La professione di giornalista
Giancarlo Siani cominciò a scrivere i suoi primi articoli per il mensile “Il lavoro nel Sud“, una testata della Cisl, e successivamente iniziò la sua collaborazione con Il Mattino come corrispondente da Torre Annunziata. Siani si occupò soprattutto di cronaca nera e analizzò in particolare i rapporti delle famiglie camorristiche che detenevano il loro controllo su Torre Annunziata. A poco a poco cominciò ad approfondire le sue conoscenze sulla camorra, sui boss locali e sugli intrecci fra politica e camorra. La sua attenzione si concentrò sul boss locale Valentino Gionta, il quale era riuscito a costruire un giro d’affari partendo dal contrabbando di sigarette, per poi introdursi nel traffico di droga.
L’assassinio
La camorra decise di uccidere Giancarlo Siani, dopo che il giornalista scrisse un articolo, nel quale rivolse le sue accuse nei confronti del clan Nuvoletta e del clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia“. Questi ultimi volevano vendere alla Polizia il boss Valentino Gionta, il quale era diventato scomodo e pericoloso. In questo modo si voleva mettere fine alla guerra tra le famiglie. Siani a questo proposito ottenne da un amico carabiniere delle specifiche rivelazioni, che furono pubblicate il 10 giugno 1985.
La camorra quindi decise di toglierlo di mezzo. L’uccisione di Siani avvenne il 23 settembre 1985, dopo quattro giorni dall’aver compiuto 26 anni. Il giornalista era appena arrivato sotto casa e restò vittima di un agguato in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano del Vomero. Erano circa le 20:50.
“Dottò, conoscete Siani? E’ stato ammazzato”
Proprio la notte del 23 settembre 1985 alla redazione de Il Mattino in via Chiatamone, pochi minuti dopo le 22, i giornalisti erano in cerca di una notizia per completare la pagina. Il redattore decise di chiamare il 113 e di chiedere se c’era qualcosa per loro. Si trattava in fin dei conti di riempire poche righe. Il poliziotto che rispose al telefono disse: “Dottò, conoscete Siani? E’ stato ammazzato nella sua auto a piazza Leonardo al Vomero“. Così la redazione apprese la notizia dell’omicidio di Giancarlo Siani, ucciso perché stava facendo bene la sua professione.
Il film Fortapàsc
Diretto da Marco Risi, il film Fortapàsc, del 2009, illustra l’impegno e la tragica fine di Giancarlo Siani, che viene interpretato da Libero De Rienzo. Un film che fa riflettere molto sulla vicenda del giornalista, ma che intende suscitare anche la riflessione su come spesso la ricerca della verità possa condurre a conseguenze irreparabili. E’ proprio questo che colpisce, il conflitto fra il pericolo comportato dal fare il proprio dovere di giornalista e l’abbandonarsi all’omertà, facendo il gioco di una realtà mafiosa, che si nutre proprio del silenzio di chi sa.
Non riesce quindi difficile comprendere tutto il significato che sta dietro ad una famosa frase che viene pronunciata proprio dal personaggio di Siani nel film Fortapàsc: “Quella pioggia poteva fare pulizia, ma anche la pioggia a Torre Annunziata diventava subito fango“.
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