«C’erano ragazzini, tra i sette e i quindici anni, che avevano atteggiamenti inusuali. Sul set all’aperto […] c’era la folla, si prestavano a scortarmi, quasi fossero mie guardie del corpo, con un fare da adulti che mi impressionava. Conoscevano tutte le battute del mio personaggio de Il clan dei camorristi e avevano il mito del criminale eroe […]. Fu una cosa che mi lasciò perplesso. Posso capire la stima verso l’attore, ma in questo caso si trattava di idolatrare il personaggio, addirittura negativo». Racconta l’attore Gianluca Di Gennaro in una lunga intervista rilasciata al giornalista Ignazio Riccio, che l’ha raccolta nel libro “Senza maschere sull’anima” (Caracò edizioni).
In effetti Di Gennaro è uno di quegli attori che spesso si ritrova a interpretare personaggi negativi o comunque borderline. «Lavorando in quelle zone, in quel contesto e in quel momento, – spiega ancora l’attore al giornalista Ignazio Riccio in “Senza Maschere sull’anima” – è subentrata in me la matura consapevolezza di ciò che un attore e un film possono trasmettere alle persone. Mi sono reso conto che il messaggio era arrivato in modo forte e sbagliato, e questo mi fece iniziare a riflettere molto».
E addirittura quando il giornalista gli chiede se quei ragazzi ci sono rimasti male nel vedere che lui non era il personaggio che più volte ha interpretato, ma un ragazzo semplice, normale e per bene, Di Gennaro risponde: «Un po’ sì. I ragazzini in particolare, ma anche gli adulti confondono la televisione con la realtà, il personaggio con l’attore: per loro era davvero difficile credere che fossi un’altra persona».
L’importante testimonianza rilasciata dall’attore Gianluca Di Gennaro dimostra, senza retorica e dietrologie, quale sia la responsabilità di chi descrive e interpreta personaggi negativi, reali o inventati che siano, nei confronti del pubblico, soprattutto di quello più giovane e disagiato.
Una responsabilità che Gianluca Di Gennaro, secondo quanto racconta al giornalista Ignazio Riccio nel libro “Senza maschere sull’anima” ha sentito su di sé e ha, con slancio, deciso di assumersi. «Che strumenti avevo io per impedire l’errore? Passare del tempo con loro mi è sembrata l’unica possibilità per dimostrare, non a parole ma con i gesti e i fatti, che non avevo nulla a che fare con il personaggio negativo de Il clan dei camorristi».
«Se non si spiega, – spiegherà infatti qualche pagina più avanti Di Gennaro – se non si parla direttamente con le persone che non hanno i mezzi per comprendere il messaggio di denuncia sottinteso alla serie [qualsiasi serie, NdR], si rischia di innescare meccanismi sbagliati».
Con la sua testimonianza, Gianluca Di Gennaro in “Senza maschere sull’anima” dimostra che si può descrivere il male e perfino interpretarlo, ma che chi lo fa deve assumersi la responsabilità, anche dopo la messa in onda, di veicolare il messaggio giusto.
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