Poco più di dieci anni fa, a Napoli, si concludeva una delle più sanguinose guerre di camorre: provocò oltre 50 morti e passò alla storia come “la prima faida di Scampia”. Con il racconto, preciso e puntuale dello storico prestato al giornalismo e del giornalista consapevole di star scrivendo pagine di storia, di questa mattanza Gigi Di Fiore concluse la prima edizione de “La camorra e le sue storie”, diventato poi uno dei più importante saggi sull’organizzazione criminale napoletana.
Da quel lontano 2005 la situazione, criminale e non, di Napoli è molto cambiata e una nuova guerra, quella della cosiddetta “Paranza dei bambini” (LEGGI QUI IL NOSTRO APPROFONDIMENTO), è in corso, provocando un numero di morti che tende sempre di più ad avvicinarsi a quello della faida di Scampia.
Così Gigi Di Fiore, che intanto continua ogni giorno a raccontare i fatti sulle pagine de Il Mattino, aggiorna “La camorra e le sue storie”, perché – purtroppo – il racconto della camorra non è ancora finito…
Nel 2005 usciva “La camorra e le sue storie”, oggi – dopo più di dieci anni – una nuova edizione aggiornata. Come si è evoluta e trasformata la camorra in questo tempo?
«Premetto che, nel “La camorra e le sue storie”, mi occupo della storia della camorra di Napoli e provincia. In questa realtà territoriale, si è accentuata la frammentazione selvaggia e anarchica dei gruppi criminali cittadini, contrapposta al consolidamento dei clan camorristici di prevalente struttura familiare di aree della provincia come Marano-Quarto e Giugliano».
Alla luce della nuova struttura e del nuovo modo di agire, quanto è ancora importante conoscere le origini della camorra per capirne l’attuale fenomeno?
«E’ importante non solo per comprendere l’evoluzione del fenomeno criminale, ma soprattutto, seguendo l’idea che avevo sin dal mio primo libro storico sull’argomento pubblicato nel 1993, per ricostruire le interrelazioni sociali ed economiche di una realtà che non è certamente corpo estraneo alla società meridionale. Comprendere e conoscere la storia della camorra fa comprendere e capire elementi di rilievi della storia tout court del Mezzogiorno e dell’intera Italia».
I giovani camorristi di oggi idolatrano e scimmiottano figure divenute “mitiche”, solitamente frutto della finzione cinematografica o televisiva. Che rapporto hanno, invece, con il ricordo dei loro predecessori?
«Il ricordo si va facendo sfumato. Molti di quei boss delle precedenti generazioni sono in carcere, o sono diventati collaboratori di giustizia, o sono stati uccisi. Restano i riferimenti di cognomi che riecheggiano in alcuni quartieri, narrazioni sulle loro attività passate. Manca nell’attualità la figura criminale carismatica in carne e ossa. E questo rende tutto ancora più pericoloso nei cosiddetti “quartieri-Stato” della città di Napoli».
Descrivendo la camorra il rischio di spettacolarizzarla è spesso molto elevato. Qual è, secondo lei, il metro giusto?
«Un racconto non noioso, che tenga presente e illumini gli effetti nefasti sulla società in generale e sulle vittime del crimine organizzato. I riflettori della narrazione vanno accesi a tutto campo, senza esaltare le figure dei camorristi e dando il giusto spazio all’azione delle forze dell’ordine, dell’antimafia sociale e di chi ha subito le angherie dei criminali».
Un altro suo importante libro sulla criminalità organizzata è “L’impero. Traffici, storie e segreti dell’occulta e potente mafia dei Casalesi”. Se quella descritta finora è la trasformazione della camorra napoletana, come si è invece evoluta la mafia casertana?
«Nella provincia di Caserta, la criminalità organizzata ha ricevuto duri colpi dalla repressione giudiziaria. Le inchieste continuano su quell’area grigia che ha prosperato all’ombra dei violenti e dell’ala militare: gli imprenditori, i politici locali. Dalla pubblicazione dell’Impero nel 2008, il primo cambiamento sono stati i due importanti arresti dei boss di vertice dei Casalesi allora latitanti: Antonio Iovine e Michele Zagaria. Proprio nel covo di Zagaria fu trovata una copia dell’Impero e questo ci deve far capire come gran parte dei nostri lettori siano proprio i protagonisti in negativo di queste vicende. Da qui il peso e la responsabilità che devono accompagnare sempre chi scrive di mafie. Mai fare delle storie criminali una sorta di mitologia del male».
Allora noi aspettiamo la nuova edizione anche de “L’impero”!
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