Gigi Rizzi è morto a 69 anni e con lui si è spento un altro frammento della Dolce Vita italiana. Rizzi è stato il più famoso playboy degli anni del boom, celebre per essere riuscito a conquistare il cuore della divina Brigitte Bardot. Il nome di Rizzi è sempre stato associato a donne bellissime, personaggi del jet set e locali alla moda. Nel 1996 Giangiacomo Schiavi, il vicedirettore del Corriere della Sera, ha pubblicato il libro “Ho ammazzato Gigi Rizzi”. L’abbiamo intervistato per avere un ricordo di Rizzi e della sua vita avventurosa.
“Era il 1994 e il Corriere della Sera stava preparando uno speciale sui 60 anni di Brigitte Bardot. Il direttore Paolo Mieli mi chiese di rintracciare Gigi Rizzi, il playboy che aveva fatto parlare di sé per essere riuscito a conquistare la divina BB. Così lo raggiunsi in Argentina, dove aveva avviato un’attività imprenditoriale dopo essersi lasciato alle spalle la Dolce Vita italiana”.
“Entrambe le cose. La decisione di riparare in Argentina fu frutto delle circostanze. In Italia Rizzi era proprietario di due locali alla moda, uno a Roma e uno a Milano: i mitici Number 1. Una notte una retata scoperchiò uno scandalo fatto di feste vip e cocaina. In quegli anni star amatissime come Walter Chiari e Lelio Luttazzi finirono in manette proprio per uso di cocaina. L’esito fu la chiusura nel 1972 dei Number One. Per Gigi Rizzi l’aria si stava facendo pericolosa.
Ma c’era anche dell’altro: Rizzi sentiva l’esigenza umana di allontanarsi dall’Italia per lasciarsi tutto alle spalle. Aveva voglia di cambiare vita per iniziarne una nuova e più semplice.
Come molti giovani dell’epoca Gigi era pervaso da uno spirito avventuroso. Questo lo aveva portato a frequentare i locali e le spiagge più esclusive della costa francese, i posti dove era possibile incontrare cantanti, attori e imprenditori. Aveva voglia di mettersi in luce, voleva diventare un personaggio, magari diventando attore anche lui. Ma presto si ritrovò invischiato in giri poco raccomandabili. Per questo cercò una nuova vita in Argentina. Ma sfuggire alla vecchia vita è sempre difficile”.
“Era un uomo malinconico. Voleva tornare in Italia, ma voleva tornare da vincitore. La sua avventura imprenditoriale in Argentina ebbe esiti disastrosi: erano gli anni della dittatura e la svalutazione affossò l’economia. Rizzi, come imprenditore, non avrebbe mai più risalito la china. Ma negli anni seguenti trovò comunque la sua felicità. Una felicità fatta di decoro, di familiarità e di intimità. In una parola, di normalità. Con Dolores Mayol, il suo nuovo e ultimo amore”.
“Molto poco, purtroppo. Erano anni felici, erano gli anni del boom. L’Italia aveva ancora fresco il ricordo della guerra e i giovani avevano fame di opportunità e occasioni. C’era una voglia di divertimento e di felicità oggi impossibili da ritrovare. Tutto il Paese era pervaso da una voglia di felicità. E quella felicità, per un giovane, poteva passare anche anche attraverso le conquiste amorose. Anche durante gli anni della contestazione. Il ‘68 vissuto da Gigi Rizzi è stato un ‘68 senza manifestazioni e senza slogan politici. Ma anche chi ha vissuto il ‘68 della contestazione in fin dei conti ha fatto il tifo per Rizzi: era un ragazzo come tanti, ma dava la sensazione che fosse possibile conquistare tutto, grazie all’esuberanza e all’intraprendenza”.
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